“Salute mentale, un bene prezioso per tutti. Ora tocca a noi!”.
È questo lo slogan che ha accompagnato il sit in di oggi, 4 dicembre 2025, davanti all’assessorato regionale della Salute a Palermo, organizzato dal Coordinamento regionale Salute Mentale insieme ai sindacati, alle associazioni del Terzo settore, alle consulte dei Dipartimenti di salute mentale e alle associazioni di familiari per chiedere risposte concrete sulla condizione dei servizi psichiatrici in Sicilia.
La protesta nasce dopo mesi di richieste rimaste senza risposta. A maggio, raccontato i manifestanti, si era tenuto un primo incontro con in assessorato, durante il quale il Coordinamento aveva messo in fila criticità e proposte. Da allora più nessuna convocazione. Nel frattempo la situazione, denunciano gli organizzatori, è persino peggiorata, tra carenza di personale, posti letto insufficienti e progetti bloccati.
Emblema della situazione, ricordano, è il caso di un paziente morto durante un trattamento sanitario obbligatorio, dopo un trasporto di oltre duecento chilometri. Quel viaggio così lungo nasce, infatti, dalla mancanza di posti letto nei reparti psichiatrici in Sicilia. Per gli organizzatori non è un episodio isolato, ma il segno di un sistema in sofferenza, che non garantisce vicinanza e continuità di cura.
Nel mirino c’è anche la questione dei fondi. Lo stesso assessorato ha confermato l’esistenza di circa quaranta milioni di euro non utilizzati dal 2019 ad oggi per il budget di salute mentale che sono “congelati”. Le risorse, che dovrebbero finanziare progetti terapeutici personalizzati, percorsi di presa in carico comunitaria per le persone con sofferenza psichica più grave, intrecciando casa, lavoro, relazioni, son fermi, mentre i servizi territoriali faticano a reggere la domanda.
Psichiatri, neuropsichiatri infantili e infermieri non bastano a coprire i turni. Psicologi, assistenti sociali, educatori, terapisti della riabilitazione, sociologi e pedagogisti restano pochi e, in alcuni territori, quasi del tutto assenti. Molti operatori descrivono le comunità terapeutiche assistite come strutture al limite, sia per le condizioni materiali sia per la mancanza di un modello omogeneo tra pubblico e privato accreditato, con differenze evidenti nella dotazione di personale e nei livelli di assistenza.
E poi resta ancora aperta anche la questione delle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza. La quarta Rems, annunciata da tempo, infatti, non ha ancora iniziato a funzionare e, in sua assenza, molti autori di reato con disturbo psichico finiscono nelle comunità terapeutiche assistite, strutture che non nascono per questo tipo di utenza, con rischi per le persone più fragili, per gli altri ospiti e per gli operatori.
“Non stiamo chiedendo qualcosa di straordinario, stiamo chiedendo almeno di usare gli strumenti che già esistono. Il budget di salute è una conquista importante, ma in Sicilia quaranta milioni di euro sono ancora bloccati. È una contraddizione intollerabile”, sottolinea Laura Peduzzo dell’Ets “Si può fare per il lavoro di comunità”.
“Il problema non è solo economico, ma culturale e organizzativo. Mancano indicazioni chiare perché tutte le aziende sanitarie si muovano nella stessa direzione – afferma -. Oggi ci sono territori in cui i progetti partono e altri in cui tutto resta sulla carta. Nel frattempo i reparti di psichiatria restano a bassa o media intensità, con poco personale e pochi strumenti. Noi chiediamo reparti davvero in grado di sostenere le situazioni più complesse e una rete di servizi di prossimità che eviti ricoveri e trasferimenti infiniti”.
“Era stato annunciato un centro residenziale terapeutico per le persone con doppia diagnosi, in particolare per chi ha sviluppato dipendenza da crack – aggiunge -. Quel percorso però si è fermato. Per molti è stato uno specchietto per le allodole. Intanto le famiglie continuano a gestire da sole situazioni pesantissime, senza comunità adeguate e senza progetti strutturati” .
“Questa mobilitazione non è contro qualcuno, ma una questione di diritti e di civiltà, perché la salute mentale riguarda tutti, non solo chi oggi è seguito dai servizi. Noi siamo pronti a collaborare, ma non possiamo più accettare silenzi e rinvii”, conclude.




