Dagli ambulatori popolari ai quartieri difficili di Palermo la Sanità prova ad andare incontro ai più fragili.

Da circa un mese, quasi in silenzio, i volontari e i medici degli Ambulatori popolari, insieme agli specializzandi della Scuola di specializzazione in gastroenterologia dell’Università di Palermo, in servizio al Policlinico, guidata dal professore Calogero Cammà, stanno portando avanti una campagna gratuita di prevenzione e diagnosi precoce nelle periferie della città.

“Il progetto, avviato da quasi un mese, ha l’obiettivo di fotografare lo stato immunitario della popolazione over 18 rispetto all’epatite B e C, sapendo che in caso di positività possiamo inviare subito la persona all’Unità operativa di Gastroenterologia del Policlinico per puntare all’eradicazione completa del virus – spiega Renato Costa, presidente della Rete degli Ambulatori Popolari di Palermo -. È un’esperienza importante perché mette davvero insieme l’università e gli ambulatori popolari. Due realtà diverse che però appartengono alla stessa scuola di pensiero, quella della buona medicina. La buona medicina si realizza nel modo più completo possibile e gli specializzandi sono molto contenti di confrontarsi da vicino con la realtà degli emarginati, degli ultimi, dei difficili, cioè di coloro che normalmente non vediamo accedere al servizio sanitario regionale”.
“Siamo già passati dallo Zen e da Borgo Vecchio, stiamo lavorando perché anche Danisinni rientri al più presto in questo percorso e l’idea è di continuare a muoverci così, quartiere dopo quartiere, finché riusciremo a raggiungere il maggior numero possibile di persone”, aggiunge.
“Questo progetto ci ha messi nelle condizioni di fare alcune riflessioni e di permettere agli specializzandi di diverse discipline di conoscere una realtà con cui noi degli ambulatori popolari facciamo i conti ogni giorno. Non siamo una regione ricca come la Toscana o il Veneto, dove certe situazioni di esclusione sono più limitate. Qui la stragrande maggioranza delle persone che appartengono a queste fasce sociali non ha la possibilità di accedere ai servizi – osserva -. Molti di loro non hanno neanche la residenza. Ciò significa non poter avere il medico curante e non poter iscrivere i bambini a scuola, quindi vivere una realtà di marginalizzazione, dove le istituzioni sono assenti. Tutto questo dovrebbe essere colmato dalla Sanità territoriale che manca. Non bastano gli screening e gli open day dell’Asp. Bisogna promuovere sul territorio la salute“.

“Se tra il medico di medicina generale e l’ospedale manca tutto ciò che dovrebbe essere sanità intermedia. Qui mancano ambulatori di secondo livello, case della salute, ospedali di continuità. E’ evidente che il sistema resta scoperto. Proprio per cercare di coprire questo spazio abbiamo messo in campo la nostra medicina di prossimità. Sapevamo che sarebbe stato un lavoro immane, ma senza l’ansia di dimostrare qualcosa ci siamo riusciti. Abbiamo semplicemente lavorato con rigore scientifico e fatto tutto ciò che era necessario. Tanto che abbiamo vaccinato contro il Covid il novantadue per cento della popolazione e processato circa sei milioni di tamponi. Questo dimostra che siamo arrivati dappertutto. E questo risultato non lo abbiamo ottenuto in un mese, ma in due anni di lavoro senza sosta”, ricorda Costa.
“Ora, in meno di un mese, abbiamo già superato i quattrocento test per l’epatite eseguiti nell’ambito di questo screening. L’obiettivo è arrivare a quota millecinquecento“, annuncia.
“Chi governa la sanità deve sapere che ogni euro sprecato in clientele è un pezzo di diritto alla cura strappato ai più fragili. Io spero, in un moto di orgoglio, che la sanità torni davvero al centro della buona politica. Quella che sceglie le persone per competenza e non per appartenenza – avverte e conclude Costa -. Noi continueremo a esserci finché ci sarà consentito, ma non basta il volontariato, serve una politica che si assuma le proprie responsabilità”.





