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Il presidente Mattarella all’Ars per commemorare suo fratello. I sicari non hanno ancora un volto

sabato 4 Gennaio 2020
Piersanti Mattarella

Lunedì 6 gennaio ricorre il 40esimo anniversario dell’assassinio del presidente della Regione Piersanti Mattarella. L’Assemblea Regionale, proprio per l’appuntamento, terrà una seduta solenne. Per l’occasione sarà presente anche il Capo dello Stato Sergio Mattarella, fratello di Piersanti. Tre saranno i minuti a disposizione per i capigruppo di ogni schieramento politico per poter commemorare l’ex governatore. Saranno presenti in tribuna Ars gli amici più stretti e i suoi ex collaboratori. Ci sarà il suo capo di gabinetto, Maria Trizzino, ma anche il suo amico Antonio Todaro, oltre a Giovanni Cordio e Rino La Placa. A volerne la presenza degli stessi sono stati i familiari di Piersanti Mattarella.

A colpire mortalmente l’ex presidente della Regione è stato un sicario che lo attendeva in prossimità del garage di via Libertà a Palermo, dal quale si apprestava ad uscire alla guida della sua Fiat per recarsi ad assistere alla messa. Il primo a soccorrere Mattarella fu proprio il fratello Sergio. È stato lui a tirarlo fuori dall’abitacolo ancora agonizzante. A 40 anni di distanza si conoscono i nomi dei mandanti, i più importanti boss di cosa nostra, ma non del killer che in quel 6 gennaio del 1980, ha sparato e ucciso il giovane presidente della Regione Siciliana.

Le sue prime azioni politiche erano volte al rinnovamento, puntando soprattutto sulla trasparenza nell’aggiudicazione degli appalti.

Dal 2018 la procura di Palermo ha riaperto le indagini rispolverando la pista “nera” per il delitto. Fra le ipotesi circolate c’era quella che la pistola usata dall’ex nar Gilberto Cavallini detto il Negro per uccidere il giudice Mario Amato, fosse la stessa che uccise Mattarella. Ma nessuno è riuscito a dimostrarlo.

Proprio qualche giorno fa la commissione antimafia di Roma ha reso pubblico il verbale integrale dell’audizione di Giovanni Falcone davanti alla commissione dell’epoca, datata 3 novembre 1988, dove parla proprio della pista “neofascista” per l’uccisione di Mattarella. “L’indagine è estremamente complessa perché si tratta di capire se e in quale misura ‘la pista nera’ sia alternativa rispetto a quella mafiosa, oppure si compenetri con quella mafiosa. Il che potrebbe significare altre saldature e soprattutto la necessità di rifare la storia di certe vicende del nostro Paese, anche da tempi assai lontani”, raccontava Falcone.

L’ipotesi di una pista nera circolò nello stesso periodo delle dichiarazioni del giudice antimafia, quando la procura della Repubblica di Palermo aveva chiesto all’ ufficio Istruzione l’emissione di due mandati di cattura. Uno era per Giusva Fioravanti, l’altro per Gilberto Cavallini. Erano loro secondo i giudici, due degli esecutori materiali dell’omicidio, due di quegli uomini prestati dalle organizzazioni neofasciste a cosa nostra. Secondo questa ricostruzione, Fioravanti avrebbe scaricato il suo revolver contro Mattarella, Cavallini sarebbe stato l’autista del commando. Un’ipotesi mai provata e non suffragata da nessun elemento di prova, se non da dichiarazioni di pentiti, successivamente inquisiti per calunnia. E infatti, contestualmente lo stesso Falcone aveva inquisito Giuseppe Pellegriti e Angelo Izzo per calunnia aggravata.

Sarebbe  stato il pentito Angelo Izzo (uno dei fautori del massacro del Circeo), ad aver pilotato le rivelazioni di Giuseppe Pellegriti (anche lui pentito malavitoso trafficante di droga di Adrano), inventando il coinvolgimento dei neofascisti: rinchiuso insieme al collaboratore di giustizia nel carcere di Alessandria, l’ex terrorista gli avrebbe suggerito i personaggi da accusare, cercando così di depistare le indagini sui delitti politici palermitani, chiamando in causa il coinvolgimento di esponenti neofascisti, la cui presenza in Sicilia è più che dubbia. Peraltro Izzo non è nuovo a clamorosi depistaggi e accuse da egli stesso formulate, ma poi crollate miseramente.

E infatti, che il coinvolgimento di Fioravanti e Cavallini (e con essi la pista neofascista) fosse una fantasia del pentito-calunniatore è oramai verità oggettiva e processuale: il dato inoppugnabile è che il processo sui delitti eccellenti poi c’è stato e gli stessi pubblici ministeri hanno chiesto l’assoluzione degli ex Nar Fioravanti e Cavallini. I due neofascisti sono infine stati assolti definitivamente anche in Cassazione, mentre sono stati condannati Totò Riina assieme ai sei mafiosi, compresi Izzo e Pellegritti per calunnia.

A negare categoricamente il coinvolgimento di Giusva Fioravanti era stato anche il pentito Tommaso Buscetta: “Ebbene, debbo dirvi che almeno per quanto riguarda l’omicidio Mattarella dovete dimenticarvi Fioravanti, che con questo fatto non c’entra assolutamente nulla”, affermava Buscetta durante l’audizione in commissione antimafia a Roma con l’allora presidente Luciano Violante, invitando semmai a puntare sulla mafia.

Sempre il primo pentito di mafia, il 6 dicembre del 1993 in Florida, davanti all’ex procuratore di Palermo Giancarlo Caselli dichiarava: “Stefano Bontante e i suoi alleati non erano favorevoli all’uccisione di Mattarella, ma non potevano dire a Riina che non si doveva ammazzarlo. Non erano favorevoli per il semplice fatto che non avevano interessi sugli appalti per cui cercavano di affievolire il discorso su Mattarella. Va poi detto che nel passato Mattarella era stato vicino a cosa nostra, soprattutto nel trapanese. Mattarella era molto vicino a cosa nostra (pur senza essere uomo d’onore) anche perchè “discendeva” dal padre. In un primo tempo tenne una condotta di “condiscendenza”, anche se non proprio di corruzione. Successivamente, dopo l’omicidio di Michele Reina, Mattarella divenne rigoroso, severo, disse “punto e basta””.

Dichiarazioni, le sue, pesanti, che non sono però bastate a capire chi premette il grilletto il 6 gennaio del 1980 in via Libertà a Palermo: il nome dei killer rimane tutt’oggi un mistero. Uno dei tanti di questo Stivale.

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