In fondo è solo un uomo come tanti, un musicista onesto, un componente dell’Orchestra di Stato, un mestierante della musica, non un artista, che, suo malgrado, è indissolubilmente legato al suo strumento.
È ‘una persona‘ come lo definisce Suskind nel testo originale, senza un nome preciso perché in fondo, come appare evidente ne “Il contrabbasso“, appunto, è solo un mezzo per dare voce alle frustrazioni, alle ossessioni, alle follie e alle autocommiserazioni di un essere umano.
Nella messa in scena, in prima nazionale al Teatro Montevergini, del regista Henning Brockhaus, prodotto dal Teatro Biondo di Palermo, questo musicista è ingabbiato anche fisicamente dentro il suo contrabbasso – molto bella ed efficace la scena frutto del progetto scenografico delle allieve dell’Accademia di Belle Arti – una stanza che lo isola totalmente dal mondo esterno costringendolo ad una severa auto-analisi.
Quest’uomo – interpretato da un Nello Mascia in piena forma, profondo e scanzonato alternativamente – per quanto isolato, o forse proprio per questo, si rivolge tutto il tempo al pubblico; con gli spettatori si confida e si confronta.
“Il contrabbasso” ha inizio dal fondo del Montevergini con le note dei musicisti, coordinati da Lelio Giannetto – a nostro avviso poco valorizzato con il suo contrabbasso all’interno dello spettacolo – che sottolineeranno alcuni momenti della pièce con musiche originali o frammenti del repertorio dei grandi classici.
E se per antonomasia l’organizzazione dell’orchestra rappresenta simbolicamente la società, in entrambe quest’uomo è tagliato fuori.
Ripercorre il musicista i primi momenti dell’infanzia e il conflitto familiare, la scelta dello strumento che si rivela un “ostacolo” insormontabile che non gli permetterà di esporsi neanche nei rapporti interpersonali; nella fattispecie con Sarah la giovane cantante di cui si è follemente invaghito e sulla quale fantastica senza concludere, in fin dei conti, nulla.
Il contrabbasso è la sua ossessione: amore e odio lasciano continuamente il posto l’uno all’altro mentre quest’uomo sconfina, narrando la propria vita, nel comico e nel tragico, nel sublime e nel ridicolo acquisendo diversi caratteri.
In fin dei conti, dunque, quello che viene fuori, in uno spettacolo anche divertente, è il grande vuoto esistenziale non colmato neanche dalla profondità e ricchezza della musica.
Il pubblico della prima, che riempie tutto il teatro, applaude. Repliche fino al 2 febbraio.