Oggi vi riportiamo indietro nel tempo, facendovi partecipare, anche se virtualmente, al gioco “Acchiana u patri cu tutti i so figghi”, tradotto per i non siculi “sale il padre con tutti i suoi figli”, che vede sfidarsi due squadre con la conditio sine qua non di avere schiene molto forti. La filastrocca che si recitava era questa: “Acchiana u patri cu tutti i so figghi. Quattru e quattru uottu, scarrica u buottu; l’acieddu cu li pinni, scarrica e vattinni”.
Una curiosità è che questo svago, che ci riposta al secolo scorso, in Albania si chiama “kaladibrance” , a Roma “Uno monta la luna” e a Palermo, oltre ad “Acchiana u patri cu tutti i so figghi”, “Scarrica canali“, che porta una variazione nella filastrocca da “aceddu-cu-li-pinni-scarica-e-vattinni” ad “aceddu-cu-l’ali-scarica-canali“. Il numero dei giocatori è variabile, anche se il top sarebbe averne otto; il palcoscenico è la strada, che deve avere un muro a cui la squadra che va sotto deve appoggiarsi, e per decidere i quattro che salteranno sui quattro che dovranno accoglierli e, stoicamente, sostenerli, si fa la “cunta”.
Il capitano della prima si appoggia al muro con le braccia e dietro di lui, uno dopo l’altro, gli altri compagni, fino a formare la “groppa” di un cavallo o un ponte; i metaforici “fantini”, chiamiamoli così, prendendo la rincorsa, da circa una ventina di metri, in fila per uno, devono saltare a “cavallo” sopra il giocatore che sta sotto, senza cadere e aspettando che gli altri compagni facciano lo stesso. Al grido: “acchiana lu patri cu tutti i so figghi”, gli altri devono presentarsi, dicendo: “u figghiu” fino all’ultimo che deve recitare: “quattru e quattru ottu, scarrica lu bottu; l’aceddu cu li pinni scarrica e vattinni: unu, dui e tri fannu vintitrì, unu dui e tri fannu vintitrì, ti dugnu un pizzicuni e mi nni vaju” (pizzicotto che deve darsi per davvero). La squadra avversaria, a sua volta, deve rispondere: “abbìriri-chi-mi-ni- vegnu-e-ricu-àschi“.
Il divertimento “sadico” sta nel fatto che se quelli che stanno giù, mentre gli altri recitano la cantilena, sopportano il peso di “chiddi” che stanno ‘ncapu vincono, andando sopra; se, invece, cadono prima restano, poveri loro, sotto. Per ricapitolare la squadra che prima era sutta va ‘ncapu a seconda della resistenza. “Acchiana u patri cu tutti i so figghi” era un gioco all’aria aperta che univa al sano movimento la bellezza della lingua siciliana, bene da custodire, di cui essere fieri e da insegnare ai nostri figli.
E’ stato bello far emergere dal passato questo passatempo infantile e chissà che a qualche bambino di oggi non venga la voglia di giocarci.