“Sì, la coscienza è uno specchio. Almeno stesse fermo. Più lo fissi, invece, e più trema“. (Ugo Ojetti).
Partiamo con un aforisma dello scrittore e giornalista romano Ugo Ojetti, scomparso a Firenze nel 1946, per raccontarvi la Psiche, uno specchio oscillante, sostenuto da due supporti laterali che, mediante un perno orizzontale, si inclina avanti e indietro. Utilizzato nelle camere da letto o nelle sartorie, in quanto permette all’intera figura di specchiarsi, ha dei piedi, di varia foggia, che poggiano sul pavimento.
Ma Perché si chiama Psiche? Probabilmente per il mito narrato da Apuleio, e contenuto nelle sue Metamorfosi, in cui “Psiche“, protagonista della storia con Amore, è una donna bellissima il cui nome significa “Anima“. D’altronde, riflettendo, cos’è lo specchio se non una porta sull’inconscio che si rivela, un ingresso di paesaggi, apparentemente, altri da noi che, in realtà, ci coabitano attraverso un coacervo di emozioni e di eventi vissuti, alcuni dei quali ricordati e altri rimossi? La “Psiche“, nella sua funzione di specchio, è come se ci invitasse a guardarci, una sorta di psicanalisi autocondotta e, ovviamente, metaforica.
In voga nell’800 sia nelle versioni da terra, che in quelle da tavolo, questo elegante complemento d’arredo, chiamato in Inghilterra “Cheval Glass” o “Cheval Mirrorr“, raggiunse l’apice del successo nella Francia del periodo imperiale. Uno dei tipi di Psiche francesi più famosi e pregiati è quello realizzato da Jacob su disegno di Percier e, attualmente, conservato nel Castello di Compiègne. La nostra specchiera, creata da Michael Thonet, ebanista austro-ungarico, che fu uno dei protagonisti del design dell’epoca vittoriana, ha tanto da raccontare: intanto appare in un film del 1962, “Landru“, di Claude Chabrol, che ha per protagonista un omino affascinato da donne molto più grandi di lui che, dopo aver sedotto ed essersi fatto firmare una procura, uccide, facendo scomparire i corpi. Landru, il mostro, arrestato e processato, riuscirà a conquistare il pubblico e i giurati con la sua stabordante ironia.
Un modello di Psiche fu eseguito per una esposizione universale di Parigi, in tiratura limitata, e un esemplare è visibile sulla sovracopertina del libro “Casa Thonet. Storia dei mobili in legno curvato”, del 1980, di Paolo Portoghesi e Giovanna Massobrio (Editori Laterza), in cui si vede, di spalle, una donna che vi si specchia. Ma, dopo questo salto in avanti, ritorniamo al 1904 quando la Thonet inizia a produrre le specchiere nel nuovo gusto moderno. Il Zentral Anzeiger, il giornalino interno della casa viennese presenta questo modello, nel giugno dello stesso anno, costruito nella fabbrica di Bystřice pod Hostýnem. Dal 1905 iniziano a essere commercializzate, anche, quelle a muro e, ai modelli rettangolari, si aggiungono quelli tondi e ovali, con circonferenze una dentro l’altra per creare effetti ottici molto particolari.
Adesso ritorniamo sul perché sia stata chiamata “Psiche“: un’altra spiegazione ci conduce alla “Legge dello specchio” per cui ciò che è all’esterno riflette ciò che è all’interno attraverso una connessione che, spesso, da dormienti, quali siamo, ci sfugge. Come ne “La Ragazza davanti allo specchio”, Girl before a Mirror, di Pablo Picasso, guardarsi allo specchio non è solo attenzione alla propria immagine, non è solo “vanitas vanitatum et omnia vanitas“, ma un’antichissima tecnica utilizzata dagli sciamani dell’America Centrale e dell’ Asia Nord Orientale per aiutare a “vedere il mondo”. Il termine “panaptu”, indicante lo specchio, ha origine, infatti, dalla parola “pana” che significa “anima”, con più precisione “Anima-ombra”. Ed ecco, quindi, che mondi lontani, come quello di Apuleio e dello Sciamanesino, vedono nello specchio la stessa funzione.
Se passiamo alla mitologia classica, figura molto inquietante e interessante è quella della dea Gorgo che, con il volto simile a una sorta di specchio-maschera, sorvegliava il regno di Persefone per impedirne l’accesso ai vivi. Per varcarne la soglia si doveva avere il coraggio di sfidare il terribile sguardo e diventare come lei: un riflesso su uno specchio, una testa spaventosa. Nel suo volto, come nella superficie riflettente protagonista del nostro racconto, è come se si incontrassero gli opposti che convivono in noi: il maschile e il femminile, il giovane e il vecchio, l’umano e il divino, il celeste e l’infernale, la vita e l’altrove. Nella maschera di Gorgo ci si ritrova o ci si divide, ci si riconosce o ci si vede estranei. La Psiche, quindi, è illusione o realtà, essenza o apparenza?
Nella nostra Palermo di fine 800 convivono vecchi quartieri dalle strade strette e tortuose e la città borghese e aristocratica delle ville e dei giardini; le osterie e le feste sfarzose; le case diroccate e i palazzi e le chiese di incommensurabile bellezza. Nelle tante dimore aristocratiche, aperte al pubblico, vi imbatterete ne “la Psiche” e chissà che non la guardiate, da oggi, con occhi diversi.
Citando Carl Gustav Jung: “Rendi cosciente l’inconscio, altrimenti sarà l’inconscio a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino”.
Concludiamo con l’invito a guardarci nelle specchiere “Psiche”, nelle accezioni di rimirarci esteriormente e, soprattutto, interiormente.