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Per la nostra “E State in Sicilia”, ci allontaniamo dai sentieri più noti per immergerci in una realtà più agreste e ricca di sacralità che ci conduce, anche se virtualmente, al Santuario di Bilìci, perché la nostra isola è fatta non solo di coste e mare, ma di un entroterra fatto di colline, che si succedono una dietro l’altra a perdita d’occhio, vestendosi con i colori delle stagioni: il verde e rosa dei mandorli e dei peschi in fiore nella stagione primaverile; il giallo estivo delle spighe, il rosso dei papaveri e della sulla, un’erba spontanea comune nel bacino del Mediterraneo; l’arancio intenso delle foglie autunnali e il bianco, grigio e marrone della terra,in inverno, che rende le colline dei meravigliosi patchwork.
Lungo questo percorso, che ci condurrà, anche se solo col ricordo o, per chi non lo conoscesse, con l’immaginazione, al Santuario di Belìce, che domina dall’alto un territorio che unisce per devozione Vallelunga, Villalba, Marianopoli, Resuttano, Santa Caterina, comuni che fanno parte del “Consorzio Cinque Valli”, e Valledolmo, Castellana Sicula, Petralia Sottana e molti altri, nel palermitano, gli amanti della fotografia potranno eternare una Sicilia “altra”, che profuma di balle di fieno, il maggengo, raccolto durante il mese di maggio o giugno, con ritratti bucolici di un’entroterra misterico e di struggente bellezza.
“La bellezza di questa isola è data dal fatto che convivono insieme tante Sicilie: da quella dell’entroterra diversa dalla Sicilia orientale, alla Sicilia bagnata dal Tirreno. La Sicilia si porta nel cuore, perché si porta nel sangue”. (Vinicio Capossela)
Pellegrinaggio al Santuario di Belìce
Il 3 maggio è un giorno di festa che vede un nugolo di pellegrini intraprendere un lungo viaggio a piedi scalzi verso il Santuario di Belìce, di cui è responsabile il parroco di Marianopoli (CL), pur cadendo nel territorio di Petralia Sottana (PA). Per tutto il tragitto, in cui si è avvolti dalla recita in dialetto dell’antico rosario alla Santa Croce, si raccolgono “pietruzze” che, secondo una tradizione, sarebbero usate durante l’inverno per scongiurare pericoli e calamità naturali e secondo un’altra, invece, disseminati per la “trazzera” a indicare le decine del rosario. Adesso, immersi in questa sacralità agreste, andiamo a scoprire il motivo della venerazione della “Santa Croce di Belìce”.
Si narra che un certo Vanni Calabrisi, un misterioso pastore che viveva nella grotta ai piedi del Castel Belìce, utilizzando un tronco d’albero, iniziò a scolpire i piedi, le braccia e il costato di Cristo senza riuscire, però, a intagliarne il volto. Una notte il povero uomo, vinto dalla stanchezza e dalla delusione, si addormentò, rassegnato a non portare a compimento la sua opera, ma al risveglio trovò il Crocifisso finito. Gridando al miracolo, la mattina di un 3 maggio di cui non si conosce l’anno, fece accorrere alla grotta pastori, signori e viandanti che, dopo averlo ammirato, portarono il “Signore di Belìce” in processione alla chiesetta del Castello. Di Vanni, invece, si persero le tracce. Fin qui la leggenda. Secondo la storia ufficiale, invece, fu la duchessa Ferrandina Alvarez ad esporre, dentro la chiesetta del suo feudo, un Crocifisso ligneo regalatole dal padre guardiano Michelangelo La Placa e scolpito nel 1638 da un fra Innocenzo da Petralia dei Frati Minori che altri non era, tenetevi forte, che Vanni Calabrisi. In ricordo di questa giornata viene distribuito, insieme all’immagine del Crocifisso, un “nastrino rosso” che alcuni legano alla croce di ferro che, in epoca recente, è stata posta sul Calvario, poco distante dalla chiesa, e altri, invece, al polso come braccialetto.
Ogni anno, l’Arciprete di Marianopoli, presidente del comitato, in collaborazione con l’Amministrazione Comunale di Petralia Sottana e con la partecipazione dell’Amministrazione Comunale di Castellana Sicula e del Consorzio “Cinque Valli”, preparano un ricco programma, quest’anno solo sognato e ricordato, in cui, dopo la sacra adorazione della Croce, si continua con una gioiosa festa campestre. Un appuntamento, questo, che solo rimandato, sarà ancora più emozionante da vivere.
Chiudiamo con questo significativo aforisma di Langhton Hughes, poeta, scrittore, drammaturgo statunitense: “Che succede ad un sogno rinviato? Forse si secca come un chicco d’uva al sole? O come una ferita poi macera? Ha il fetore della carne putrida? O fa la crosta, come un dolce, zuccherosa e umida? Forse è solo un carico pesante. O forse scoppierà?”
[Il bellissimo video è di Davide Saporito]