Nuovi avvistamenti del velenoso pesce scorpione nel Mediterraneo. La prima segnalazione avvenne nel 2017 nelle acque della riserva di Vendicari, Siracusa, da parte del team di ricercatori di Ispra, Cnr e dell’American University di Beirut. L’aumento delle temperature nel Mediterraneo favoriscono questa specie tropicale.
I biologi temono che questa specie infestante e pericolosa abbia già avviato un processo distruttivo dell’ecosistema marino del Mediterraneo, come precedentemente successo nella fauna acquatica del Nord Atlantico, del Golfo del Messico e del Mar dei Caraibi, dove è stata accidentalmente introdotta e si sta diffondendo.
Questo perché il pesce scorpione o pesce leone (Pterois miles), originario dell’indo-pacifico e molto diffuso nel Mar Rosso, non ha predatori naturali ed è invece un predatore molto aggressivo. Fa strage di crostacei, cernie e molte altre specie autoctone e ha un alto tasso riproduttivo.
Le sue caratteristiche fisiche, in particolar modo le spine dorsali velenose, tengono alla larga i più grossi rivali ed è pericoloso anche per l’uomo.
Gli esperti hanno calcolato che, negli habitat in cui è stato introdotto o si è diffuso, arrivi ad azzerare fino al 65% della biomassa degli altri pesci. Inoltre il Pterois miles ha arrecato gravi danni economici alle comunità ed ai pescatori locali.
Perché è pericoloso anche per l’uomo?
I suoi aculei rilasciano una neurotossina che provoca eritemi, nausea, vomito, convulsioni e difficoltà respiratorie e, seppure raramente, anche effetti gravi (necrosi locali prolungate) e talvolta letali (ischemia del miocardio, edema polmonare, sincope). Anche da morto il pesce scorpione è pericoloso, poiché il veleno che ha in corpo si mantiene attivo per 24/ 48 ore.
Cosa si potrebbe fare?
Per i biologi, l’unico modo per non far diffondere questa specie è la bonifica di intere zone di mare eliminando fisicamente il pesce. Cipro, dove è proibita la pesca subacquea, ha messo addirittura all’ordine del giorno iniziative contro l’invasione del pesca scorpione, consentendone la caccia.
La specie è comunque commestibile e la sua pesca, oltre ad aiutare l’ecosistema marino, tenendo a bada la proliferazione, potrebbe contribuire anche all’economia aggiungendo un nuovo piatto “di mare” nel menù di ristoranti o nei banconi delle pescherie.