Giovanni Brusca uscirà presto dal carcere ma non subito. La carrellata di mafiosi che in questo periodo stanno uscendo dai penitenziari di tutta Italia, a causa del coronavirus, ha creato una ondata di indignazione non soltanto fra i parenti delle vittime di mafia, ma anche fra tantissimi cittadini comuni.
L’ultimo della lista degli scarcerati è stato Franco Cataldo, il carceriere del piccolo Giuseppe Di Matteo. L’uomo era stato arrestato con altri mafiosi dopo la scoperta del bunker sotterraneo dove era stato segregato il figlio del pentito Santino Di Matteo, prima di essere strangolato e sciolto nell’acido su ordine proprio di Giovanni Brusca. Il boss di San Giuseppe Jato, prima di pentirsi e passare nella folta schiera dei collaboratori di giustizia, era tra i più efferati assassini di Cosa nostra. Fu lui, infatti, ad azionare il telecomando che fece esplodere il tritolo che, il 23 maggio del 1992, causò la strage di Capaci, uccidendo il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta.
Antonella Cassandro e Manfredo Fiormonti, difensori di Brusca, hanno chiesto ad ottobre scorso, alla Suprema corte, di riformare l’ordinanza con cui, nel marzo 2019, il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha rigettato l’istanza di commutazione della pena da detentiva a domiciliare. Non è il primo ricorso, né si è trattato del primo rigetto: anche qui i numeri sono da record, visto che siamo a quota 9. Stavolta però è diverso. Perché a marzo 2019 per la prima volta dal 2002, la Procura nazionale antimafia, chiamata a esprimere il proprio parere sulla compatibilità del beneficio penitenziario con il percorso del detenuto, ha espresso valutazione favorevole. Secondo l’ufficio diretto da Federico Cafiero de Raho, infatti, Brusca può dirsi “ravveduto”.
E appunto, gli avvocati Cassandro e Fiormonti sono certi che il giudice di sorveglianza, nel respingere l’istanza di 7 mesi fa, non abbia tenuto nella giusta considerazione il giudizio della Dna. Ma al momento gli avvocati non hanno riproposto nessuna istanza di scarcerazione per il loro cliente Brusca.
Il boss di San Giuseppe Jato, 62 anni, è ormai arrivato in vista del traguardo del fine pena: calcolando i tre mesi sottratti per ogni anno di detenzione scontato, la scadenza dei trent’anni dovrebbe arrivare a novembre 2021.
Proprio ieri il procuratore nazionale antimafia in merito allo scandalo mediatico che sta investendo il ministro Bonafede e la nomina al Dap ha dichiarato alla stampa: “Ho letto in particolare i provvedimenti di detenzione domiciliare dei detenuti assegnati al 41bis. Il magistrato di sorveglianza, in alcuni casi, ha chiesto quale fosse il centro ospedaliero e anche qui forse c’è stata un’interlocuzione non immediata, non so da parte di chi, sarà il ministero di Giustizia a fare chiarezza. Non si è evidenziato che il detenuto che si trova in regime di 41bis è un detenuto che si trova in isolamento e quindi è evidente che non può essere contagiato né contagioso. Addirittura, uno dei primi provvedimenti che adottò il ministero di Giustizia con l’emergenza coronavirus fu di escludere i colloqui visivi con i famigliari da parte dei detenuti al 41 bis, sostituendoli con due colloqui telefonici. Quindi per la verità non si comprende perché anche per i detenuti al 41bis ci fosse preoccupazione, bastava un termoscanner“.