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Mazzette per appalti multimilionari su apparecchiature mediche, forniture energetiche, impianti tecnologici e servizi di pulizia con l’aggiudicazione di gare pubbliche per un totale di 600 milioni. Terremoto nel settore della sanità pubblica siciliana dopo il blitz della guardia di finanza che ha eseguito – su disposizione del gip del tribunale di Palermo – 12 misure cautelari, sequestrato 7 società con sede in Sicilia e Lombardia e altri 160 mila euro di tangenti che sarebbero state già pagate. Sono accusati a vario titolo per i reati corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, induzione indebita a dare o promettere utilità, istigazione alla corruzione, rivelazione di segreto di ufficio e turbata libertà degli incanti.
Le misure cautelari
A finire in carcere il 55enne direttore generale dell’Asp di Trapani Fabio Damiani e il 44enne agrigentino considerato il suo faccendiere, Salvatore Manganaro. Ai domiciliari invece l’attuale coordinatore della struttura regionale per l’emergenza Covid-19, ex commissario straordinario e direttore generale dell’Asp di Palermo, Antonino Candela (55 anni), il suo faccendiere Giuseppe Taibbi (47 anni, di Palermo), l’amministratore delegato della Tecnologie sanitarie spa Francesco Zanzi (56 anni, di Roma), il responsabile operativo della stessa società, Roberto Stata (50 anni, di Cagliari).
Sempre ai domiciliari vanno il responsabile operativo per la Sicilia di Sirma spa nonché amministratore delegato di Sei Energia scarl, Angelo Montisanti (51 anni, di Palermo), il direttore dell’unità business centro sud di Siram spa, Crescenzo De Stasio (49 anni, di Napoli), il “referente occulto” di Ferco srl, Ivan Turola (40 anni, di Milano).
Il giudice per le indagini preliminari, sulla scorta del lavoro degli investigatori del Nucleo di polizia economico-finanziaria, ha applicato la misura cautelare del divieto temporaneo di esercitare attività professionali, imprenditoriali e pubblici uffici per il “referente occulto” di Euro&Promos spa e di Pfe spa Giovanni Tranquillo (61 anni, di Catania) e per l’ingegnere nonché membro di commissione di gara Giuseppe Di Martino (63 anni, di Polizzi Generosa).
“Le indagini svolte con l’ausilio di intercettazioni telefoniche e ambientali, appostamenti, pedinamenti, videoriprese,esami documentali e dei flussi finanziari – si legge in una nota – hanno consentito di ipotizzare l’esistenza di un centro di potere composto da faccendieri, imprenditori e pubblici ufficiali infedeli che avrebbero asservito la funzione pubblica agli interessi privati, in modo da consentire di lucrare indebiti e cospicui vantaggi economici nel settore della sanità pubblica“.
Anche il deputato regionale Carmelo Pullara, 48 anni, che è vicepresidente della commissione Sanità all’Ars e componente della commissione regionale Antimafia è indagato per turbativa d’asta nell’inchiesta “Sorella Salute” sulla corruzione negli appalti per la sanità siciliana. Il parlamentare, dei popolari e autonomisti che fa parte della coalizione di centrodestra che appoggia il governo regionale, avrebbe chiesto un favore per una ditta Manutencoop s.p.a., al direttore generale dell’Asp di Trapani Fabio Damiani, in cambio di un sostegno alla nomina di quest’ultimo ai vertici dell’ufficio sanitario.
Gli appalti sotto la lente
Quattro le procedure ad evidenza pubblica aggiudicate a partire dal 2016, per un totale di 600 milioni di euro, interessate dall’operazione “Sorella sanità”: 1) gestione e manutenzione apparecchiature elettromedicali, bandita dall’Asp del valore di 17.635.000 euro; 2) servizi integrati manutenzione apparecchiature elettromedicali, bandita dalla Centrale unica di committenza (Cuc) del valore di 202.400.000 euro; 3) fornitura vettori energetici, conduzione e manutenzione impianti tecnologici, bandita dall’Asp del valore di 126.490.000 euro; 4) servizi di pulizia per gli enti del servizio sanitario regionale, bandita dalla Cuc del valore di 227.686.423 euro.
Il meccanismo per garantire gli appalti
“Le spregiudicate condotte illecite – spiegano le fiamme gialle – garantivano l’arricchimento personale dei pubblici ufficiali infedeli e dei loro intermediari, mediante l’applicazione di un tariffario che si aggirava intorno al 5% del valore della commessa aggiudicata. Gli operatori economici vincitori delle gare, importanti società di livello nazionale, erano consapevoli e partecipi delle dinamiche criminali, dalle quali traevano un vantaggio che avrebbe remunerato nel tempo il pagamento delle tangenti“.
Grazie a intercettazioni telefoniche e ambientali gli specialisti anti corruzione del Gruppo tutela spesa pubblica sarebbero riusciti a ricostruire lo schema illecito: “L’imprenditore interessato all’appalto avvicinava il faccendiere, noto interfaccia del pubblico ufficiale corrotto. Il faccendiere, d’intesa con il pubblico ufficiale, concordava con l’impresa corruttrice le strategie criminali per favorire l’aggiudicazione della gara. La società, ricevute notizie dettagliate e riservate, presentava la propria ‘offerta guidata’, poi adeguatamente seguita fino all’ottenimento del risultato illecito ricercato”. Per portare a termine il piano bisognava poi usare qualche accorgimento, come attribuire punteggi discrezionali, sostituire le buste contenenti le offerte economiche, pagare gli stati avanzamenti lavoro anche in mancanza della documentazione giustificativa necessaria, diffondere di informazioni riservate o coperte da segreto di ufficio.
Tagenti e società per schermare i soldi
“I pagamenti delle tangenti – ricostruiscono dalla guardia di finanza – in alcuni casi avvenivano con la classica consegna di denaro contante nel corso di incontri riservati, ma molto più spesso venivano invece mimetizzati attraverso complesse operazioni contabili instaurate tra le società aggiudicatarie dell’appalto e una galassia di altre imprese, intestate a prestanomi, ma di fatto riconducibili ai faccendieri di riferimento per i pubblici ufficiali corrotti. Per rendere ancora più complessa l’individuazione del sistema criminale approntato, gli indagati si erano spinti fino alla creazione di trust fraudolenti, con l’obiettivo di schermare la reale riconducibilità delle società utilizzate per le finalità illecite. Il patto criminale – concludono – veniva poi ulteriormente cementato grazie alle continue e sistematiche interlocuzioni che erano necessarie per gestire tutte le fasi attuative dei contratti la cui durata era ovviamente pluriennale“.