Siciliani semu e, quindi, per dimostrare amore per la nostra poetica e colorata lingua, vogliamo raccontarvi l’origine etimologica variegata della parola “Ammatula” o “Ammatila”, a seconda della provincia. Se sentite dire “parrari ammatula” sappiate che non è un complimento in quanto significa parlare inutilmente, col velato consiglio di non dare fiato alla bocca se non si è sicuri di quello che si sta dicendo. Insomma, come direbbe Oscar Wilde: “A volte è meglio tacere e sembrare stupidi che aprir bocca e togliere ogni dubbio”.
Andiamo alla scoperta della sua origine, facendo un salto nel Medioevo in cui “la matula” era un’ampolla di vetro chiaro e sottile, racchiuso in una fasciatura di paglia con coperchio e manico, che veniva utilizzato per la raccolta delle urine dei pazienti. Si narra che i medici del tempo non molto capaci di utilizzare questo strumento, spesso non diagnosticando correttamente le malattie, condannavano a morte certa i malati. Da qui i parenti, addolorati e increduli, cominciarono a usare espressioni come: “È stato curato a matula”. Qui, però, appare la prima incoerenza in quanto la matula, considerata simbolo di una anamnesi infallibile, contrasterebbe con la prima ipotesi che tuttavia volevamo farvi conoscere per darvi un quadro generale il più possibile composito. Altra versione la farebbe derivare dal latino “ad mentula”, l’organo riproduttivo maschile, nel significato di “casaccio“, cioè “fare le cose a cavolo”, eufemismo meno forte da quello usato più comunemente, di cui l’ideatrice potrebbe essere una donna non tenera con gli uomini. La Sicilia, inoltre, essendo coacervo culturale, non poteva farsi mancare l’origine greca, “màten”, invano, oppure quella araba “batil”, diventata, in seguito, “debades” in catalano, “en de bados” in occitano ed “en balde” in spagnolo, con lo stesso significato. Probabilmente la parola siciliana originaria era a “mbàtula”, di cui le varianti in palermitano sono: mmàtula, a mmàtula e màtula.
Il termine “Ammatula“, però, ingloba anche una curiosa leggenda, secondo cui deriverebbe da “màttula”, “cotone“, per il fatto che, anticamente, ai novelli sposi veniva donato un tubo foderato di raso all’interno e pieno di bambagia che, nella prima notte di nozze, era strategicamente collocato sotto le lenzuola del talamo perché, visto che durante il banchetto ci si abbandonava a grandi abbuffate, temendo i rumori disturbanti la neonata intimità, avrebbe dovuto dirottare le arie fuori dal letto. Questo marchingegno, nonostante la lunghezza, risultò inutile all’uso e da qui nacque l’espressione “longu a màtula”, per indicare un procedimento tanto arzigogolato quanto inutile e, in seguito, una persona che, oltre all’altezza, non possedeva nulla.
Dopo quest’ultima boutade tacciamo per non “parrari ammatula“.