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L’industria dello zucchero siciliano, una storia da ricordare

lunedì 3 Agosto 2020

Lo zucchero siciliano, per diversi secoli, è stato prodotto ed esportato in molti Paesi d’Europa e del Mediterraneo. La canna da zucchero fu introdotta in Sicilia dai musulmani e assunse rilevanza economica già nel XIV secolo. Nei decenni successivi gli investimenti aumentarono esponenzialmente e si registrò un accrescimento delle superfici dei cannameleti e degli addetti nel settore produttivo zuccheriero. Sicuramente, furono raggiunti importanti risultati anche dal punto di vista tecnologico e si svilupparono importanti competenze tra gli operai siciliani, tant’è vero che molti di essi furono chiamati al di fuori della Sicilia come, ad esempio, a Barcellona.

Lo zucchero siciliano dovette vedersela con molti competitori mediterranei ma nonostante ciò, già nei primi anni del ‘400, controllava tra il 30 e il 40% del mercato in diverse località europee importanti come Parigi, Montpellier e Bruges. Oltre ad aumentare la superficie dei cannameleti crebbe anche il numero dei trappeti, cioè gli impianti di lavorazione della canna da zucchero, i quali in gran parte furono realizzati nel ‘400: infatti, dei 46 trappeti di fine ‘600, ben 30 risalivano al XV secolo, 12 al ‘500 e soltanto 4 al XVII secolo. L’industria dello zucchero alimentava un modo di fare agricoltura, per certi aspetti, differenti rispetto alle coltivazioni cerealicole o rispetto ai vitigni. Tra il 1520 e il 1650, il periodo d’oro dell’industria zuccheriera siciliana, erano simultaneamente funzionanti circa 30 trappeti, per un giro d’affari piuttosto alto, paragonabile a quello generato dalla produzione ed esportazione del grano e della seta. Zucchero, grano e seta furono i tre prodotti siciliani che nei primi secoli dell’età Moderna garantirono i maggiori guadagni per l’Isola, plasmandone anche l’identità.

Tra ‘400 e ‘600, lo zucchero siciliano era molto richiesto, nonostante la forte competitività nel settore. In particolar modo, a Madeira e nelle Canarie, la produzione dello zucchero era talmente dinamica da riuscire a penetrare anche il mercato italiano. Ma comunque lo zucchero di Sicilia era molto gettonato nei mercati nazionali e internazionali, una crescita continua che proseguì fino al ‘600, quando l’andamento positivo iniziò a rallentare, per poi mutare completamente nella seconda metà del XVII secolo. In tal senso, è esemplare l’andamento dei prezzi. Se infatti nel ‘500 i prezzi triplicarono rispetto al secolo precedente, passando da 4 a 12 onze a cantaro (un cantaro equivaleva a 80 kg di zucchero), all’inizio del ‘600 la crescita dei prezzi proseguì ma a rilento, passando da 12 a 15 onze, per diminuire, infine, vertiginosamente alla fine del XVII secolo, passando da 15 a 8 onze, con effetti deleteri per l’intero sistema produttivo zuccheriero dell’Isola.

Ma cerchiamo di capire le ragioni di una simile spirale negativa. Dal punto di vista territoriale/paesaggistico le condizioni erano favorevoli: infatti, la Sicilia di questo periodo era costellata da molte aree boschive in grado di alimentare le esigenze dei trappeti. La crescita demografica fu uno dei fattori determinanti della crisi zuccheriera siciliana: nel ‘500 la popolazione dell’Isola raddoppiò, passando da 550.000 a 1,1 milioni di abitanti, con effetti evidenti sulla produzione agricola generale. La domanda interna di cereali aumentò notevolmente e le circa 120-130 città, che furono fondate nel corso del ‘600, spinsero le aree rurali a intensificare i propri sforzi sulla produzione cerealicola. E se le esportazioni di grano procedevano a gonfie vele, toccando punte di 200 mila salme l’anno, invece, la produzione dei cannameleti crollò inesorabilmente in quanto la domanda di zucchero di molte località mediterranee ed europee iniziò ad essere soddisfatta dallo zucchero americano, venduto a prezzi più bassi rispetto a quello siciliano.

Per cui, gli investimenti a favore dell’industria dello zucchero si ridussero notevolmente. A ciò si aggiunse il calo dei prezzi, iniziato negli anni ’40 del XVII secolo, calo che proseguirà pure nei decenni successivi. E contestualmente, i costi di produzione non si ridussero, quindi, i margini di guadagno per i cannameleti e i trappeti si assottigliò pericolosamente. Inoltre, è bene ricordare che la crisi dello zucchero siciliano non fu isolato ma venne accompagnato, nel corso del ‘600, dalla crisi dello zucchero di Madeira e delle Canarie. Evidentemente, ormai, lo zucchero americano stava conquistando il mercato precedentemente occupato dallo zucchero mediterraneo ed europeo.

Fu Cristoforo Colombo nel 1493 ad introdurre nelle Americhe la canna da zucchero, nell’ambito del secondo viaggio dall’esploratore genovese verso il Nuovo Mondo. Soltanto nel 1516, ben 23 anni dopo, arriverà in Europa il primo zucchero prodotto in America e d’altra parte dovettero passare diversi decenni prima che i cannameleti si diffondessero al di là dell’Oceano e che l’Europa e la Sicilia ne risentissero gli effetti negativi. La canna da zucchero nelle Americhe ritrovò quelle condizioni climatiche ideali di caldo-umido che non aveva potuto trovare nell’area mediterranea ed europea. Così, nei primi anni del Settecento l’industria zuccheriera siciliana era ormai al tramonto.

Lo zucchero, come abbiamo potuto vedere, è stato un prodotto d’eccellenza della Sicilia, soprattutto tra ‘400 e ‘600, con la diffusione di cannameleti e trappeti in varie parti dell’Isola. In seguito, l’affacciarsi di nuovi e potenti attori sullo scenario commerciale mondiale e l’incapacità di mantenere il passo con le nuove esigenze della contemporaneità sancirono, inevitabilmente, la fine di un intero settore produttivo che aveva contribuito ad accrescere le transazioni commerciali siciliane su scala internazionale. Lo zucchero, insomma, può essere considerato uno dei tanti gioielli della storia di Sicilia.

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