“È grave che la latitanza di Matteo Messina Denaro, condannato all’ergastolo per questi fatti, si protragga da 27 anni. Così come per 43 anni si protrasse latitanza di Provenzano. Situazioni di questo genere non possono non essere anche, in parte, il frutto di coperture istituzionali e politiche. Non è normale che per 27 anni, o 43 anni, non si riesca a catturare un latitante”.
Lo ha detto ieri sera il magistrato Nino Di Matteo alla presentazione del libro del magistrato Sebastiano Ardita “Cosa nostra S.p.A.”, a Palazzo Platamone di Catania.
“E per Messina Denaro – aggiunge – la gravità è acuita dal fatto che è stato uno dei protagonisti della campagna stragista. Questo lo pone in condizioni, potenzialmente perché è uno dei pochi depositari di segreti inconfessabili, di brandire un’arma micidiale di ricatto nei confronti di chi ha ancora molto da nascondere su quella fase di storia recente”.
“VIA D’AMELIO STRAGE NON SOLO DI MAFIA”
“Da pochi giorni è trascorso l’ennesimo anniversario, il 28° della strage di via d’Amelio. E non è vero che non sappiamo nulla o che gli sforzi giudiziari sono stati tutti inutili. Dopo gli iniziali depistaggi ed errori già dal 1996 le indagini dei processi hanno consentito di accertare passaggi importanti… Quella di via D’Amelio non è stata solo una strage di mafia. Ed è necessario proseguire il percorso di accertamento della verità senza azzerare tutto, ma partendo dalle acquisizioni consacrate correttamente, colmare i vuoti di verità”. Ha aggiunto il consigliere del CSM Nino Di Matteo.
“PERICOLOSO MINIMIZZARE POSSIBILE RITORNO ALLE STRAGI”
Poi Di Matteo si è tolto un sassolino dalla scarpa: “Quando si scrive che lo Stato ha vinto e Cosa nostra è stata sconfitta, quando si dice e si scrive con assoluta certezza che la parentesi stragista è stata solo una parentesi limitata che non si ripeterà mai più, io penso che queste persone, questi studiosi, questi storici, forse si accostano con superficialità al problema. Perché in Cosa nostra si sono alternati nel tempo momenti di sostanziale ed apparente pace con lo Stato seguito da momenti di attacco allo Stato. Come si può dire che si è abbandonata la strategia di attacco alle istituzioni nel momento in cui nel 2013 – quindi non 20 anni fa – un collaboratore di giustizia come Vito Galatolo, ritenuto attendibile non solo dalle Procure ma anche da sentenze, ha raccontato, con tanto di riscontri, dell’acquisto di tritolo per colpire un magistrato a Palermo (cioè proprio Di Matteo, ndr) . E questo lo dico per porre il problema della non scontata fine del periodo di violento attacco alle istituzioni”.
“INDOSSAI LA TOGA PER LA PRIMA VOLTA ACCANTO LA BARA DI FALCONE”
“Io sono entrato in magistratura poco prima delle stragi. Da tirocinante – conclude Di Matteo – ho vissuto a Palermo il periodo delle stragi. Ho indossato per la prima volta la toga che avevo appena comprato in piena notte, alle tre di notte, al palazzo di giustizia a Palermo accanto alla bara di Giovanni Falcone. Mi batterò con tutte le mie forze perché chi, non solo nella magistratura, occupa indegnamente le istituzioni, non sporchi la memoria di chi è morto per il nostro Paese e per le istituzioni che quelle persone servivano nell’interesse dei cittadini e del popolo italiano”.