Carissimi
Lo zio Gaspare, “Aspano”, ma per tutti noi “Rino”, sapeva di certo quale fossero le priorità nella vita.
Fratello di mia nonna, lo zio Rino era visto come il più piccolo di una nidiata di figli, come si usava all’epoca in cui determinate donne passavano tutto il periodo della fertilità incinte, per poi terminare il resto della loro vita vestite a nero per i lutti che o vuoi o non vuoi in famiglie così grandi necessariamente dovevano presentarsi con rigorosa cadenza.
Lui non aveva tanti vizi, soltanto tre, “le donne, altrui”, “il gioco delle carte” ed il “calcio” per il quale era in grado di fare pazzie che per gli altri due vizi non avrebbe mai fatto.
Erano i primi anni del dopoguerra e si ripartiva tutti con le pezze al culo e zio Rino non poteva non darsi da fare in mille modi per sbarcare il lunario e perché no, godersi e sperperare quel poco di benessere che suo padre lo zio Gaetano aveva messo da parte, da buon commerciante e difeso durante la guerra.
Non era una bellezza, ma sapeva rendersi affascinante con il suo borsalino, le scarpe sempre lucide, i baffetti alla Errol Flynn e i vestiti di buona fattura. Un giovane così, seppur non troppo alto, era corteggiatissimo da tutte le ragazze di buona famiglia in cerca di marito, soprattutto dai loro genitori che malgrado la fama che lo precedesse speravano sempre in un suo ravvedimento, ma a matula, perché zio Rino aveva le sue priorità, fin quando non fu costretto a sposare la zia Annina (tutti parlarono di amore a prima vista, altri sussurrarono di fracchiate a prima vista, poiché lo zio Nenè papà della zia Annina era un omone che faceva impressione a guardarlo tanto era … “tanto”! Così dopo aver atteso un paio di anni dal fidanzamento della figlia, da buon futuro suocero penso lui a tutto, chiesa, sacerdote, sala di trattenimento e viaggio di nozze, poi convocò lo zio Rino in falegnameria (era questa l’azienda dello zio Nenè) e gli fece un discorso semplice, essenziale e convincente: “caro Rino, io ti voglio bene come un figlio e a questa età avrei piacere di poter giocare ogni tanto con dei nipotini. Voglio però ancora più bene a mia figlia Annina e in futuro non vorrei vederla soffrire. Pertanto tu sai che io lavoro il legno e se tu dovessi ancora illudere la mia bambina, io prima ti rumpu i ligna e cu i stessi ligni, ci fazzu a cascia”. Non ci fu bisogno di chiarire di che tipo di cassa si trattasse, zio Nenè era convincente e di li a sei mesi si fece un gran bel matrimonio.
Ma torniamo alla vera passione di zio Rino, il Palermo. Non perdeva un incontro in casa e quando poteva andava pure in trasferta e fu così che quando zio Nenè (il suocero) si ammalò di una brutta malattia, giunse il giorno più delicato e delle grandi scelte per lui, era un giovedì, il 6 gennaio 1949, “l’epifania”, il medico era stato chiaro con i figli e con lui, non c’era più nulla da fare, non avrebbe superato la giornata.
Fu in quel momento che lo zio Rino conto molto sulla fibra resistente dello zio Nenè e prendendo il cappello disse “scusatemi, sto tornando”, la zia Annina non seppe mai dove andò quella domenica lo zio Rino, ma gli amici si (malgrado fosse l’epifania alla Favorita c’era una importante partita di campionato) e fu così che durante l’intervallo della gara gli altoparlanti dello stadio gracchiarono il messaggio “il Sig. Gaspare Lo Bianco è atteso presso la nostra cabina per comunicazioni familiari”. Lo zio Rino in un iniziale disappunto, si tolse il cappello e pensò tra se e se: “guarda questo …., proprio a metà partita ….”, poi guardò il tabellone, il Palermo perdeva 1 a 0, faceva freddo e pioveva, ma lo stadio era stracolmo e lui continuava a pensare “vado o resto, ma se vado e lui è già morto, anche se ci arrivo a metà o fine partita che cambia. Magari lui è ancora peggiorato e tornando dalla partita riesco a trovarlo ancora vivo?” Poi fisso l’imbocco del tunnel che spogliatoi portava in campo e vide rientrare Mazzola, Ossola, Menti, Bacigalupo, Gabetto, Rigamonti, Ballarin con quelle fantastiche maglie granata con il tricolore al petto e decise di restare, sarebbe stato testimone di quello storico 2 a 2 con il Grande Torino che di lì a quattro mesi sarebbe scomparso a Superga. Realizzò solo a dieci minuti dalla fine in mezzo al tripudio per il pareggio di Milani, di averla fatta grossa con la zia Annina che non seppe mai nulla di quel giorno (fece finta di non sapere nulla conoscendolo bene).
Zio Rino mi insegno che nella vita è sempre una questione di scelte e che bisogna naturalmente porsi delle priorità, anche quando trattasi di un doveroso “visito” e della partecipazione ad un evento storico.
Un abbraccio, Epruno