Carissimi, se vogliamo vivere in mezzo alla gente dobbiamo condividere certi basilari comportamenti, ricordo mia Madre quando cercavo di fare lo stravagante nel vestire (parliamo di piccolissimi peccati veniali) mi fermava davanti la porta e con quei consigli lapidari che solo le madri sapevano dare, mi inchiodava alle mie responsabilità e non vi nascondo che il dialetto condiva di maggiore efficacia il messaggio meglio di qualunque pubblicitario dei giorni d’oggi:
“Unni stai iennu?” (interrogativo che chiedeva “dove stai andando”).
“Va vestiti comu i cristiani!” (Qui non c’era più l’interrogativo del dubbio ma si passava direttamente all’imperativo che accompagnava una così detta “disposizione di servizio” che imponeva di “andarsi a vestire in modo cristiano”, inteso come modo convenuto).
Mi madre con quel “cristiano” non ne faceva un fatto di religione, poiché per Lei la religione era solo una e non ci potevano essere competitor sulla piazza, come oggi accade con maggiore informazione.
Ma il momento più efficace era quando chiedeva: “A genti, chi n’avi a pinsari?” (La gente che ne deve pensare). Immaginate un adolescente che aveva mille complessi di suo, per il fatto di essere secchissimo (non ci credereste ma ero secchissimo), di essere prematuramente orfano, che era costretto ad uscire e guardare gli sguardi incrociati casualmente della gente e costantemente credere che quella gente stesse pensando a me, avesse il pensiero su come mi fossi vestito, su cosa facessi, cosa pensassi e se aggiungiamo l’aggravante che parlando l’amico quello ti dicesse: “mia nonna mi dice che siamo degli scanazzati a stare costantemente per strada a giocare, invece di stare a casa e finiti i compiti, stare a guardare la televisione”.
C’era di rimanere di sasso principalmente ad avere tutti quegli occhi della gente di sopra, quell’esser giudicato “scanazzato” termine ancora scognito per me, l’esser paragonato ad odierni ragazzi delle serie televisive modello Gomorra con le loro piazze di spaccio i loro omicidi, le loro rapine ……. Ed io “mischinu di mia” (povero me) ero impudentemente uscito con un paio blue-jeans e stavo andando all’appuntamento con gli amici davanti la chiesa, dove saremmo rimasti seduti a chiacchierare di pallone, di film, di ciò che era accaduto a scuola.
Ma anche in quella naturale attività stavo a guardare gli occhi della gente che passava e nella mente si alimentava il cruccio, chi sa che cosa sta pensando me, giovane “scanazzato” che è pure seduto nei gradini della chiesa e non sta a casa a vedere la televisione come tutti i bravi ragazzi ed è pure vestito con i jeans.
Per non parlare delle giovanili simpatie per le ragazzine che con i genitori la domenica andavano in chiesa (loro si vestite come i cristiani) ed immaginare già di toglier mano a qualunque corteggiamento per non ingenerare storie dolorose alla Romeo e Giulietta, tra una giovane ragazza di buona famiglia “vistuta comu i cristiani” e un giovane certamente senza futuro, “scanazzato” e vestito con i jeans e che non guardava la TV dei ragazzi (moderno Che Guevara rivoluzionario dei costumi e contro la comunicazione di massa):
La mia cara Mamma aveva ragione, partendo dal principiò di “poveru si, ma sfardatu picchì” (questa i miei amici nordici dovranno andare a cercarla) figlio di un ceto medio dignitoso che doveva puntare anche sulla cura della propria immagine in un momento social e in una età nella quale emergevano la “forbice sociale”.
Aveva ragione Lei tranne per un particolare non di poco conto, alla gente non gliene stava fottendo nulla di me di come vestivo, presa come era dei veri problemi della vita, delle insoddisfazioni, dei tradimenti, della perdita del lavoro, di una figlia che gli dava problemi e non soltanto per il modo di vestire, ognuno nella sua mente macinava pensieri, come li macino io e il loro sguardo era perso dando la sensazione di essere assente.
Io sono cresciuto e mi sono realizzato, mi sono preso le mie soddisfazioni nella vita, sia professionali che in altri campi, ho indossato la giacca e la cravatta nel ruolo, ma non nascondo che quando mi svesto del ruolo continuo come quando avevo 15 anni, a vestire non come i “cristiani”, con i miei amati jeans. Un abbraccio Epruno.