Cari Lettori,
anche l’articolo di oggi mi è stato stimolato dall’interazione con alcuni di Voi che mi hanno chiesto informazioni e spiegazioni “anatomiche” sulla perdita dell’olfatto (anosmia) e del gusto (ageusia) che si verifica in molti individui contagiati dal virus SARS-CoV-2, anche senza sviluppare (fortunatamente) le forme più gravi della malattia.
Diciamo subito che molti virus che colpiscono le vie aeree superiori danno sintomi analoghi e che la comunità scientifica – prima dell’avvento dell’attuale pandemia – non ci ha posto molta attenzione, trattandosi nella stragrande maggioranza dei casi di sintomi lievi e transitori e che scompaiono molto rapidamente al termine dell’infezione. La paura per gli effetti sistemici di un virus nuovo e particolarmente aggressivo ha determinato un interesse scientifico internazionale su tutti gli aspetti clinici indotti dallo stesso: moltissimi gruppi di ricerca nel mondo, tra cui anche il nostro, hanno pertanto “deviato” dai naturali percorsi di ricerca portati avanti correntemente, per concentrare energie intellettuali e forze economiche verso questa sfida globale, ottenendo un approfondimento delle conoscenze pure su aspetti un tempo ritenuti marginali delle infezioni respiratorie su base virale. Quindi non deve sorprenderci il fatto che le informazioni siano aumentate anche su questo capitolo della patogenesi della COVID-19.
Capitolo reso ancora più importante dal presunto “neurotropismo” (la capacità di entrare dentro i neuroni e viaggiare in lungo e in largo per il nostro sistema nervoso, esponendolo a gravissimi rischi) di questo virus, per fortuna al momento non confermato dalla comunità scientifica.
Per entrare nel merito e fornire opportune spiegazioni, partiamo dal dare uno sguardo – seppur sintetico – alle strutture anatomiche responsabili della trasduzione e dell’interpretazione dei sensi dell’olfatto e del gusto, non prima però di aver fatto un’utile premessa.
I “sensi” di cui siamo dotati non sono affatto cinque (come spesso si sente dire…), ma un po’ di più. La “sensibilità” è quella componente funzionale del nostro sistema nervoso responsabile di raccogliere – a livello dei recettori – informazioni provenienti sia dall’ambiente esterno che dall’ambiente interno al nostro corpo e veicolarle al nostro sistema nervoso centrale affinché questo potente “calcolatore” le elabori e possa determinare se – per il mantenimento dell’omeostasi del nostro organismo – sia necessario compiere dei “movimenti” oppure no, intendendo per movimento qualsiasi atto in grado di modificare una condizione pre-esistente dell’organismo, sia a livello muscolo-scheletrico che viscerale.
I sensi si suddividono in “generali” e “speciali” (o “specifici”), sulla scorta della tipologia dei recettori, i quali ne rappresentano il primum movens. I recettori sono “trasduttori”, ossia strutture anatomiche in grado di “trasformare” uno stimolo di varia natura (chimica o fisica) in un segnale elettrico (impulso) in grado di viaggiare lungo il nostro sistema nervoso.
La sensibilità generale a sua volta può essere “somatica” o “viscerale”; quella somatica si divide in “esterocettiva” (la cosiddetta sensibilità cutanea) e “propriocettiva” (alias, il senso della posizione del nostro corpo nello spazio), e così via, con ulteriori sottoclassificazioni un po’ troppo specialistiche per parlarne in una rubrica tutto sommato generalista come questa.
La sensibilità specifica invece contempla i seguenti sensi: vista, olfatto, gusto, udito ed equilibrio. L’olfatto e il gusto ricadono quindi tra i sensi specifici (quelli che hanno dei recettori con caratteristiche morfofunzionali altamente specifiche per trasdurre quel tipo di sensibilità).
Olfatto e gusto presentano i loro recettori, rispettivamente, nelle cavità nasali (in particolare, nel tetto delle stesse) e nella cavità orale (in prevalenza nella lingua). La mucosa olfattiva e le papille gustative presentano qualche analogia ma altrettante differenze. Tra le analogie vi è il fatto che le cellule a funzione recettoriale siano allungate, separate da cellule “di sostegno” e con un fitto corredo di recettori posti sul versante apicale delle stesse, in corrispondenza di propaggini allungate (ciglia); ma mentre le prime sono veri e propri neuroni, le seconde sono cellule epiteliali che si sono specializzate in senso recettoriale/sensoriale.
Le informazioni di natura chimica trasdotte dai recettori olfattivi e gustativi in segnali elettrici viaggiano attraverso reti di neuroni (le cosiddette vie olfattive e vie gustative, rispettivamente), compiendo percorsi assai differenti ma giungendo al termine in due aree del nostro cervello piuttosto vicine, le aree olfattive e gustative, tra loro comunicanti attraverso fasci di fibre nervose.
In particolare, abbiamo due aree olfattive (una primaria e una secondaria) e altrettante gustative. L’area primaria, per definizione, è la porzione di cervello dove termina la via nervosa che ha trasportato il segnale elettrico generato dal recettore; da qui, l’impulso raggiunge l’area secondaria, che ha due funzioni: la prima è quella di confrontare esperienze sensoriali dello stesso tipo ma ricevute in tempi differenti; in pratica, è il confronto con le memorie, ossia i ricordi di quell’esperienza sensoriale (l’odore del ragù è diverso da quello del minestrone, e così via). La seconda è quella di confrontare informazioni provenienti da esperienze sensoriali di tipo differente ma ricevute nello stesso istante. Questo confronto è importante non solo per interpretare meglio la sensazione e generare un ricordo più corretto e vivido, ma anche per aiutare il nostro cervello a costruire nuove memorie.
Le aree secondarie dell’olfatto e del gusto sono strettamente interconnesse; soprattutto, si è visto che l’olfatto (che sembra essere un senso ancestralmente più antico del gusto) condiziona moltissimo l’interpretazione delle esperienze gustative a livello cerebrale. Un olfatto deficitario rende il senso del gusto più scialbo: è come togliere i colori dalla nostra visione o appannare le lenti dei nostri occhiali (ahimè esperienza comune in tempo di mascherine…).
Tutto ciò premesso, cosa accade a livello delle strutture olfattive e gustative durante le prime fasi dell’infezione da SARS-CoV-2?
È ormai risaputo che il virus entra attraverso il naso e colonizza le nostre vie aree superiori, in primis le cavità nasali, diffondendosi poi alla faringe. Le cavità nasali sono tappezzate dalla mucosa respiratoria che – come abbiamo già avuto modo di raccontare in almeno altre due puntate di questa rubrica, e alle quali vi rimando – rappresenta la nicchia perfetta per il virus nella quale indovarsi e replicarsi. Come detto prima, nel tetto delle cavità nasali è presente la mucosa olfattiva, costituita da cellule olfattive e cellule di sostegno. Queste ultime rappresentano una sorta di isolanti elettrici delle cellule olfattive, oltre al fatto che stimolano in esse la formazione dei recettori per le molecole odorose. In più, queste cellule di sostegno hanno la sfortunata caratteristica di possedere sulla loro membrana quei recettori dell’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (ACE-2) che rappresentano la porta di ingresso privilegiata del virus alle cellule.
Uno studio recentissimo (https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0889159120313581), su cavie animali, ha mostrato che – a seguito di infezione da SARS-CoV-2 – il virus entra (com’era da attendersi) dentro le cellule di sostegno (e non dentro le cellule olfattive, che non hanno il recettore per l’ACE-2) e ciò basta per mandare in cortocircuito l’intera mucosa olfattiva. L’infiammazione e l’edema fanno il resto, “gonfiando” l’area sottostante la mucosa e comprimendo queste strutture.
E, se ciò non bastasse, vorrei aggiungere un altro elemento.
Come già discusso in una precedente puntata di questa rubrica, l’autoimmunità può giocare un ruolo importantissimo nella patogenesi della COVID-19 attraverso il fenomeno del “mimetismo molecolare” (https://sanitainsicilia.it/gocce-anatomia-coronavirus-banale-influenza-unaggressione-autoimmune_408057/): << Se il sistema immunitario, per eliminare il virus, ha bisogno di scatenare una risposta infiammatoria contro le proteine virali (ad esempio producendo anticorpi specifici), e queste proteine virali hanno epitopi in comune con proteine umane, ecco che questi anticorpi possono trasformarsi in autoanticorpi e aggredire le cellule del nostro corpo che espongono questi epitopi sulla loro superficie >>.
In una delle ricerche condotte dal nostro gruppo durante il primo lockdown (https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1568997220301555), abbiamo scoperto che le cellule olfattive hanno sulla loro superficie una proteina che presenta analogie strutturali con una proteina virale (chiamata ORF7b): questa analogia può comportare che l’infiammazione conseguente all’infezione delle cellule di sostegno determini anche la distruzione su base autoimmune delle cellule olfattive, aggravando il quadro.
Qualcuno potrebbe chiedere a questo punto: ma se il virus colpisce la mucosa delle cavità nasali e non quella della cavità orale, come mai perdiamo anche il gusto? E sono sicuro che, a questo punto, i più attenti di voi saranno già in grado di rispondere a questa domanda.
Infatti, se il danno strutturale a livello della mucosa olfattiva basta a spiegare la perdita dell’olfatto, l’assenza di un analogo processo infiammatorio e distruttivo a livello del cavo orale (e, in particolare, dei calici gustativi) porta a concludere che, mentre l’anosmia è un effetto diretto dell’infezione da parte del virus che – alterando le strutture preposte a trasdurre le molecole odorose – arreca un danno nella componente iniziale della via nervosa olfattiva, l’ageusia è invece un effetto indiretto dovuto all’interruzione dei segnali (impulsi nervosi) tra le aree secondarie dell’olfatto (non più stimolate) e quelle del gusto, rafforzando la (ormai consolidata) teoria che le aree cerebrali gustative abbiano bisogno del contributo delle aree olfattive per poter funzionare in maniera efficace.
Poniamo quindi attenzione al monitoraggio della funzionalità di questi nostri sensi “speciali” in quanto una loro alterazione può essere una spia cruciale dell’esordio di una infezione da parte di questo insidioso virus.