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Recensione del libro “I Rifugiati” di VietThanhNguyen

domenica 13 Gennaio 2019
Viet Thanh Nguyen, 2017 MacArthur Fellow, University of Southern California, Los Angeles, CA, September 23, 2017

Come per tutti i grandi artisti, come per tutti i grandi scrittori, per comprendere la poietica di Viet Thanh Nguyen, occorre inevitabilmente conoscere la sua storia, le origini, le vicende che hanno attraversato la sua vita, da cosa è stato segnato e da quali esperienze vissute si sprigiona folgorante la sua arte. Non c’è altro modo se non questo.

Viet Thanh è nato a Buôn Ma Thuôt, in Vietnam, nel 1971. Nel 1975 la sua famiglia fugge negli Stati Uniti d’America per chiedere asilo politico, dopo la caduta del regime sostenuto dagli Americani nel tentativo di colonizzare il Paese motivando l’“invasione armata” col più nobile degli obiettivi della politica occidentale: “importare la democrazia” in Vietnam attraverso una guerra sanguinaria, sanguinosa e dolorosa di cui il popolo americano ancora oggi porta ferite profonde e incancellabili.

Tutti i profughi vietnamiti che avevano sostenuto il Governo Statunitense e che riuscirono a fuggire dalla Rivoluzione vietnamita, vennero accolti da subito in diversi campi di accoglienza in territorio americano: la famiglia di Viet Thanh Nguyen passa il primo periodo della sua permanenza in Pennsylvania, presso il campo profughi di Fort Indiantown Gap. Solo alla fine degli anni ’70 Viet e la sua famiglia possono iniziare una vita da cittadini liberi e da cittadini americani veri, ottenendo dal Governo americano il permesso di trasferirsi dove avrebbero voluto vivere dal momento in cui hanno messo piede negli U.S.A., la California, a San Jose, che per clima e humus era ritenuto dai Nguyen, almeno nell’immaginario, il più vicino e “prossimo” a quello del Paese che avevamo amato e abbandonato per sempre per sfuggire a morte certa. È dalla California che il piccolo Viet Thanh Nguyen inizia gli studi, con passione, intelligenza e determinazione, laureandosi nel maggio del 1992 col massimo dei voti in “Letteratura Inglese e Studi Etici”; divenendo poi, nel 1997, professore universitario in “English and American Studies and Ethnicity” nella prestigiosa University of Southern California di Los Angeles.

Inizia a scrivere novelle, racconti brevi, e libri di saggistica, oltre a svolgere con grande diligenza, competenza e preparazione la sua professione di professore universitario. Nel 2015 pubblica il suo primo romanzo, “The Sympathizer”, edito da Grove Press, New York. Il 18 aprile 2016 Viet Thanh Nguyen vince il più prestigioso dei premi letterari al mondo, il Premio Pulitzer, nella categoria “Fiction” (Narrativa), con la seguente motivazione «a layered immigrant tale told in the wry, confessional voice of a “man of two minds” andtwo countries, Vietnam and the UnitedStates» («una storia di immigrati raccontata a strati e con sottile ironia; la confessione di una voce di un “uomo con due menti” e “due Paesi”, il Vietnam e gli U.S.A.»).

È questa la premessa inevitabile per comprendere la poietica di Viet Thanh Nguyen. È questa la premessa per comprendere il talento che ha permesso a questo grande scrittore di vincere il più prestigioso dei premi letterari al mondo, il Pulitzer Prize for Fiction, assegnatogli il 18 aprile 2016 alla Columbia University di Broadway (Pulitzer Hall 709, New York, U.S.A.).

Ed è questa la premessa perché il lettore italiano, in un momento sociale e politico europeo dove l’immigrazione è diventato un serio problema da qualsiasi prospettiva lo si guardi, possa accedere ad una lettura che narra di vicende e di storie di rifugiati che fuggirono dal loro paese per sposare il sogno americano e che con tutte le loro forze si adattarono e acquisirono la cultura del paese ospitante perché avvenisse una reale integrazione.

Recensione

I Rifugiati” sono otto racconti di persone e di famiglie “deportate” o “fuggite” dalla loro terra, dal Vietnam del Sud, ma anche da altre nazioni, per cercare di sopravvivere ai comunisti, rifugiandosi negli Stati Uniti d’America.

«… i comunisti avevano marciato dal Vietnam del Nord nel 1975 per invadere il Vietnam del Sud, costringendoci a fuggire attraverso il Pacifico e ad approdare in California».

Sono storie di rifugiati, di vite interrotte da dolori e da lutti, di vite da ricostruire in una terra apparentemente ospitale, ma dura e ostile nell’accogliere nuove popolazioni che si chiudono al loro interno in comunità costrette a vivere una doppia identità: quella vietnamita da dimenticare e quella statunitense da costruire, quella delle loro origini e quella della terra dove tutto è possibile.

I ricordi sono l’ancora che li sostiene e dà loro forza. Così come il futuro per i loro figli che devono costruirsi una nuova vita e una professione che dia loro identità, sicurezza, lavoro. Una comunità di rifugiati che credono in Dio e perché hanno fede possono sperare. Una comunità di rifugiati scampati alla dittatura dei nord-vietnamiti che avevano invaso il loro territorio.

«I comunisti sono l’incarnazione del male … su questo non c’è il minimo dubbio. Non credono in Dio, e non credono nel denaro … Però credono sia giusto prenderlo agli altri.» Più che da una guerra, il ragazzino che immaginiamo racconti queste storie, questi racconti, è fuggito da una ideologia che si è rivelata spietata, cinica, senza pietà, senza religione, che ha ucciso donne e bambini per conquistare il potere, così come racconta Hoa, una mamma alla quale hanno ucciso il figlio, una delle protagoniste di Viet Thanh rifugiatasi in California: «Ai comunisti non è bastato ucciderlo una volta, mio figlio … Lo hanno ucciso anche la seconda volta, quando hanno profanato la sua tomba. Non rispettano nessuno, neanche i morti».

Sono gli orrori di questi racconti che Viet Thanh cerca di trasmettere al lettore. Sono i ricordi degli adulti fuggiti al male che hanno lasciato un solco profondo nella memoria della sua giovane vita.

Sono i ricordi il bene più prezioso che hanno portato con loro i rifugiati, seppur doloroso e terribile. È da questi ricordi che bisogna partire. È da questi ricordi che bisogna ricominciare. È da questi ricordi che bisogna costruire una nuova identità e una nuova prospettiva.

È da questi che si deve attingere la forza per sperare in un futuro migliore seppur in un’altra terra che adesso è anche la loro.

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