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Le origini della lingua Siciliana: l’avvincente storia di un popolo

venerdì 7 Giugno 2019

La lingua è la storia di un popolo e quella siciliana lo è dei tanti che l’hanno abitata. Dire dominata mi pare, ormai, anacronistico perché ognuno di noi è figlio di questo melting pot di culture che in alcuni faranno predominare i caratteri arabi, in altri quelli normanni, in altri ancora quelli spagnoli e così via.

La lingua Siciliana

Il siciliano non è un dialetto, ma una vera e propria “Lingua” tant’è vero che il sommo vate, Dante Alighieri, nel De vulgari eloquentia così scrive: «Indagheremo per primo la natura del siciliano, poiché vediamo che il volgare siciliano si attribuisce fama superiore a tutti gli altri: che tutto quanto gli Italici producono in fatto di poesia si chiama siciliano […]» E Giovanni Meli: «Omeru nun scrissi pi grecu chi fu grecu, o Orazziu pi latinu chi fu latinu? E siddu Pitrarca chi fu tuscanu nun si piritau di scrìviri pi tuscanu, pirchì ju avissi a èssiri evitatu, chi sugnu sicilianu, di scrìviri pi sicilianu? Haiu a fàrimi pappagaddu di la lingua d’àutri?» che tradotto in italiano per i non siculi significa: «Non scrisse Omero che fu greco in greco, o Orazio che fu latino in latino? E se Petrarca che fu toscano non si peritò di scrivere in toscano, perché dovrebbe essere impedito a me, che son siciliano di scrivere in siciliano? Dovrei farmi pappagallo della lingua d’altri?»

Grecismi, arabismi, normannismi, catalanismi, francesismi, spagnolismi, hanno lasciato impronte indelebili nel nostro idioma, ma la faccenda, come nel più riuscito dei gialli in cui si vuole trovare un colpevole che riesce a depistare l’investigatore, si complica sull’origine di molte parole che, pur essendo chiaramente di matrice araba, sono comuni anche al catalano, all’italiano, allo spagnolo e, persino, al dialetto ligure; per altre, invece, è difficile comprendere se siano di provenienza catalana, provenzale o francese e, infine, tra gli iberismi, spesso, è impresa ardua distinguere tra i catalanismi e i castiglianismi.

Alcune parole della lingua siciliana, inoltre, sono ormai entrate a pieno titolo a far parte del lessico ufficiale della lingua italiana e noi abbiamo voluto offrirvi, su un vassoio d’argento, le più curiose e insospettabili. Eccovene alcune:

  • abbuffarsi, mangiare a sazietà, vuol dire “gonfiarsi come un rospo” che, infatti, in siciliano è detto “buffa”. Questo verbo è entrato nella lingua italiana nell’ottocento (le prime documentazioni portano all’ambiente dell’Accademia navale di Livorno), anche se nella VIII edizione dello “Zingarelli” (marzo 1959) non era ancora presente.
  • canestrato, tipo di formaggio, deriva da cannistratu e dal fatto che, simile al pecorino, si riponesse in ceste di vimini a forma di canestro (cannistri). E’ entrato a far parte della lingua italiana intorno al 1970.
  • cannolo, il nostro dolce tipico conosciuto in tutto il mondo, deriva dalla parola siciliana “cannolu” e questa da “canna”: indica oggetti cilindrici cavi, nonché il rubinetto ed è entrata nella lingua italiana agli inizi del ‘900.
  • cassata, torta di ricotta ricoperta da pasta reale e canditi, la ritroviamo scritta, già nel 1897, nel menù di un ristorante di Milano. Le origini si legano a “qa’sat”, che in arabo indica una scodella grande e profonda; da alcuni è stata avanzata, invece, l’ipotesi della derivazione dal latino caseus, formaggio.
  • dammuso, abitazione in pietra con il tetto a volta, arriva al siciliano dall’arabo “dammus”. Tale tipo di costruzione è tipico, soprattutto, di Pantelleria e con la scoperta dell’isola da parte del turismo italiano, la parola è pian piano penetrata nella lingua italiana.
  • mattanza, uccisione di tonni, di origine spagnola da matanza, dovrebbe essere passato all’italiano direttamente dal siciliano.
  • omertà, legge del silenzio, ha un’origine incerta, anche se fu conosciuta già dal 1800: la teoria più convincente la fa risalire alla parola latina Humilitas, umiltà, che, in vari passaggi, diventa in siciliano umirtà. Oggi viene usata comunemente per definire l’ostinatezza al silenzio, anche per ambiti non strettamente mafiosi.
  • picciotto, giovanotto, ragazzo, deriva probabilmente dal francese puchot. Iniziò la sua penetrazione nell’italiano con l’impresa dei Mille di Garibaldi e, infatti, in una lettera del 24 giugno 1860 Ippolito Nievo scrive: “vuol dire ragazzi e così noi chiamiamo quelli delle Squadre perché tra loro si chiamano così“.
  • zagara, fiore d’arancio”, ha etimologia araba e, precisamente, da zahara, splendere del bianco. Gabriele D’annunzio la usò per la prima volta nel “Piacere” e poi, ripetutamente, nel “Trionfo della morte”, nel “Forse che sì forse che no” e nel “Notturno”.

Adesso andiamo a quei termini che, magari, tante volte avete usato, ma di cui non sapete la provenienza; ne abbiamo pescato solo alcuni in un mare che è davvero vastissimo:

  •  abbanniàri, proclamare, gridare, dal tedesco “bandujan”, dar pubblico annuncio.
  • abbuccàri, versare, dal catalano e spagnolo “abocar”.
  • addumàri, accendere, dal francese “allumer” e in italiano arcaico “allumare”.
  • addurmiscìrisi, addormentarsi, dallo spagnolo “adormecerse”.
  • annacàri, cullare, dondolare, dal greco “naka”, culla.
  • antùra, poco fa, dal latino “ante horam”.
  • azzizzàri, abbellire, adornare, sistemare, dall’arabo “aziz”, splendido.
  • babbalùciu, lumaca, dall’arabo “babalush”.
  • babbiàri, scherzare, dal greco “babazo”, ciarlare.
  • burgìsi, possidente, dal franco-provenzale “borgés” e dal catalano “burgés”.
  • burnìa, vaso per conserve, barattolo, dal catalano “búrnia” e dallo spagnolo “albornía”.
  • ciràsa, ciliegia, dal latino “cerasea”; dal greco “kérasos”; dallo spagnolo “cereza”; dall’italiano arcaico “cerasa”; dal francese “cerise”.
  • curtìgghiu, cortile, dallo spagnolo “cortijo”.
  • custurèri, sarto, dal francese “costurier”; dallo spagnolo “costurero” e dal catalano “costurer”.
  • giùmmu, pennacchio, dall’arabo “giummah”.
  • làstima, lamento, fastidio, dallo spagnolo “làstima”, pena.
  • muccatùri, fazzoletto, dal catalano “mocador” e dal francese “mouchoir”.
  • muscalòru, ventaglio per le mosche, dal latino “muscarium”.
  • ‘nsajàri, provare, dallo spagnolo “ensayar”e dal francese “essayer”.’nzémmula, insieme, dal latino “simul”.
  • racìna, uva, dal francese “raisin”.
  • raggia, rabbia, dal francese “rage”.
  • runfuliàri, russare, dal francese “ronfler”.
  • sciàrra, litigio, dall’arabo “sciarrah”, ostilità.
  • trùscia, fagotto, dal francese “trousse”.
  • tuppuliàri, battere, dal greco “typto”.

Curiosità

La nostra isola delle meraviglie ha un siciliano occidentale, diviso tra area palermitana, trapanese e agrigentina; un siciliano centrale, diviso tra le aree nisseno-ennese, agrigentina orientale e delle Madonie e siciliano orientale, diviso in area siracusano-catanese, nord orientale, messinese e sud orientale.

Il siciliano, lo diciamo tronfi più che mai, non è una lingua che deriva dall’italiano ma, al pari di questo, direttamente dal latino volgare e costituì la prima lingua letteraria italiana, già nella prima metà del XIII secolo, nell’ambito della Scuola siciliana. Anche l’UNESCO riconosce al siciliano lo status di lingua madre, motivo per cui siamo descritti come bilingue.

Inoltre la lingua siciliana potrebbe essere ritenuta una lingua regionale o minoritaria ai sensi della Carta europea per le lingue regionali e minoritarie, che all’articolo 1 afferma che per “lingue regionali o minoritarie si intendono le lingue … che non sono dialetti della lingua ufficiale dello Stato“.

Alcuni studiosi asseriscono che il siciliano sia la più antica lingua romanza, ma tale ipotesi non è diffusa nel mondo accademico.

Nel 2011 l’Assemblea regionale siciliana ha approvato una legge che promuove il patrimonio linguistico e la letteratura siciliana nelle scuole.

Prima della colonizzazione greca e delle penetrazioni commerciali fenicie, la Sicilia era occupata da tre popoli: Sicani, Elimi e Siculi. L’élimo, lingua parlata dal popolo siciliano della Sicilia nord-occidentale, era probabilmente di ceppo indoeuropeo. Il suo studio è relativamente recente e risale agli anni sessanta.

Non si sa nulla del sicano, lingua del popolo della Sicilia centro-occidentale. Vengono considerate sicane tutte le iscrizioni non indoeuropee rinvenute nell’isola, ma si tratta solo di supposizioni. Non si sa molto sulle origini di questo popolo, esistono solo teorie che si rifanno a Tucidide che li indicava come iberi, mentre Timeo li dava per autoctoni, tesi appoggiata pure da Diodoro Siculo; tuttavia non esiste nessun documento riguardo alla lingua parlata, per cui restano le ipotesi.

Per quanto riguarda il siculo è sicuramente una lingua vicina al latino, appartenente alla famiglia delle lingue latino-falische, e perciò indoeuropea.

Ci sono inoltre parole siciliane con un’origine indoeuropea antica, per farvi alcuni esempi: dudda “mora”: come indoeuropeo roudho, gallese rhudd, serbo rūd, lituano rauda, romeno “dudă con il significato il colore “rosso”; scrozzu “infermiccio”, venuto su a stento: lituano su-skurdes, arrestato nella sua crescita.

Antichi nomi di derivazione greca (chissà che non ci sia il vostro)

Dal greco dorico Aλθαἰος = cognome Alfeo o Alfei
Dal greco dorico Θαἰος = cognome Feo o Fei
Dal greco dorico Γρἰθθαἰος = cognome Griffeo o Griffei
Dal greco dorico Μαθθαἰος = cognome Maffeo o Maffei
Dal greco dorico Νυνζἰος = cognome Nunziato o Nunzi
Dal greco dorico Oρθαἰος = Orfeo nome proprio di persona, cognome Orfeo o Orfei

I toponimi arabi:

Alcàntara deriva da al-qantar, arco o ponte, identico toponimo si registra in Spagna
Alia deriva da yhale, viale, identico toponimo si registra in Spagna
Favara da fawwara, sorgente di acqua
Calascibetta, Calatabiano, Calatafimi, Caltabellotta, Caltagirone, Caltanissetta, Caltavuturo derivano da qalʿat, cittadella, fortificazione
Marsala da Marsa Allāh/Alì, porto di Dio/Grande
Marzamemi da Marsa al Hamam, porto delle allodole, delle tortore
Mongibello, Gibellina, Gibilmanna, Gibilrossa da gebel, monte
Racalmuto, Regalbuto, Racalmare, Ragalna, Regaleali da rahal, luogo di soggiorno, quartiere, casale
Giarre, Giarratana da giarr, contenitore o giara di terracotta
Misilmeri, da Menzel-el-Emir, villaggio dell’Emiro
Donnalucata, da Ayn-Al-Awqat, fonte delle ore, delle stagioni
Mazara del Vallo, da Mazar, tomba, sepoltura di un uomo pio

Cognomi arabi:

Butera – forse da italianizzazione del nome arabo Abu Tir (padre di Tir), oppure dal mestiere del capostipite espresso dal vocabolo arabo butirah, pastore
Buscema – abi samah, quello che ha il neo
Caruana – dall’arabo, dal persiano kārwān, comitiva di mercanti
Cassarà – da qasr Allah, castello di Allah (o Alì)
Fragalà – “gioia di Allah”
Taibi – tayyb “molto buono”
Vadalà, Badalà – “servo di Allah”
Zappalà – “forte in Allah”
Zizzo – aziz “prezioso”
Sciarrabba, Sciarabba – da sarab, bevanda (di solito vino o altri alcolici)

Influenza lombarda

Anche oggi ritroviamo i cosiddetti dialetti galloitalici nelle zone dove l’immigrazione lombarda fu più consistente, vale a dire a San Fratello, Novara di Sicilia, Nicosia, Sperlinga, Valguarnera Caropepe, Aidone e Piazza Armerina. Il dialetto galloitalico non è sopravvissuto in altre importanti colonie lombarde, come Randazzo, Caltagirone e Paternò, anche se ha influenzato il vernacolo siciliano locale. Lo ritroviamo in queste parole:

soggiru – suocero, da suoxer, dal latino socer.
cugnatu – cognato, da cognau, dal latino cognatum.
figghiozzu – figlioccio, da figlioz, dal latino filiolum.
orbu – cieco, da orb, dal latino orbum.
unni – dove, da ond, dal latino unde.

La lingua Siciliana

Il numero di normanni in Sicilia, provenienti dalla Normandia vera e propria, è difficile da definire, inoltre a questi si aggiungono i soldati di ventura di origine lombarda dall’Italia settentrionale e dall’Italia meridionale. Durante i primi anni dell’occupazione della parte nord-orientale della Sicilia, i Normanni costruirono una cittadella a San Fratello in cui, ancora oggi, si parla un dialetto gallo-italico influenzato chiaramente del vecchio provençal, che porta a dedurre che un numero significativo di soldati chiamati a difendere la cittadella provenisse dalla Provenza. D’altronde, la scuola poetica siciliana è stata influenzata fortemente della tradizione provenzale dei trovatori, troubadours. Questo è solo un accenno a una materia affascinante e pozzo infinito a cui attingere. Una cosa, però, è certa che, da oggi, possiamo dire a chi ci critica di non conoscere le lingue, vedi gli abitanti della perfida Albione o ai galletti, cugini d’oltralpe con la puzza sotto il naso, di essere un popolo altamente poliglotta.

Lodi, Lodi e ancora Lodi alla nostra Sicilia Bedda.

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