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Metternich e quella sua frase usata “a sproposito”

venerdì 7 Giugno 2019

Spesso, e a sproposito, viene evocata la celebre frase “L’Italia non è che un’espressione geografica“, pronunciata dal cancelliere austriaco Klemens von Metternich.

Ho scritto “a sproposito”, perché quella che era semplicemente una constatazione di fatto, venne assunta come un disprezzo nei confronti della stessa Italia. A caricarne il senso di negatività, contribuì un quotidiano napoletano, il Nazionale, che non si fece scrupolo di sfruttarne l’interpretazione negativa per alimentare il rancore dei patrioti italiani contro il dominio austriaco. Questo, in breve sintesi, il fatto. Metternich, nell’immaginario collettivo degli italiani è divenuto, dunque, il politico reazionario, restauratore, in nome del principio di legittimità, di sovrani e sistemi politici oscurantisti, nemico della libertà e della modernità.

Come spesso accade per i miti, siano essi positivi o negativi, anche per Metternich la verità storica è alquanto diversa. Il cancelliere austriaco, finissimo diplomatico e uomo di notevole ingegno, non fu un reazionario quanto, piuttosto, un conservatore carico di un realismo politico che lo portava, naturalmente, a confrontarsi sempre con il tempo vissuto.

Lo dimostra il suo, quasi disperato, tentativo di impedire che lo stesso Napoleone, arcinemico dell’Austria, concludesse tragicamente la sua parabola politica consentendo ai Borbone di tornare su trono di Francia. Più volte, preoccupato per gli assetti politici che si andavano disegnando, propose infatti, onorevoli trattati di pace che l’imperatore francese, poco lucido nel suo delirio d’onnipotenza, respinse con arroganza.

Per l’Italia, in particolare, se fu fra coloro che sostennero il principio di legittimità, il ritorno cioè sul trono dei principi spodestati dai Francesi, non si può dire che fosse fra quelli che legittimarono il ritorno tout court al passato. Metternich si rendeva infatti conto che molte cose erano cambiate, che bisognava in qualche modo modernizzare per assorbire la voglia di cambiamento che, nonostante tutto, appariva inarrestabile. Non avallò, se non costretto, politiche di repressione, ma invitò i sovrani italiani a conciliare le novità emerse durante il periodo della rivoluzione con i sacri principi di cui era lui stesso il massimo interprete.

La sua fu la cosiddetta politica dell’amalgama, di cui divenne intelligente interprete il ministro borbonico de’ Medici. Se i sovrani restaurati non tornarono al passato, se adottarono molte delle riforme amministrative e legislative che lo spirito rivoluzionario aveva portato in Italia, se molti dei quadri che avevano costituito il nerbo dell’amministrazione e dell’esercito durante i primi quindici anni del secolo furono confermati, lo si deve al tanto demonizzato Klemens von Metternich.

Questo vento di novità, che Metternich non ostacolò, trovò tuttavia un ostacolo formidabile nel diffuso ceto reazionario che bloccò le riforme, che costrinse i sovrani a rivedere le aperture e che, in fin dei conti, sconfisse proprio il cancelliere austriaco, inducendolo a posizioni che non appartenevano alla sua cultura politica.

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