Il caffè rappresenta uno dei settori industriali più floridi dell’industria agroalimentare del nostro Paese, con caratteristiche endogene che rendono la sua produzione ed esportazione unica rispetto a quella di altri prodotti.
La produzione di caffè è ad esempio soggetta ogni anno a forti sconvolgimenti dovuti ai fenomeni climatici, quali il riscaldamento globale e la siccità, con conseguente rincaro dei prezzi.
Nonostante tali vulnerabilità, dall’inizio del nuovo secolo il mercato del caffè è in piena espansione, con ritmi di crescita produttiva e commerciale elevati. Ed infatti, i dati dell’ICO (International Coffee Organization) riportano per il 2019 un incremento della produzione globale dell’1,5% rispetto al biennio precedente – con Africa e Sud America a trainare tale rialzo – accompagnato a un + 5,7% delle esportazioni globali.
Se il Brasile rimane il paese-simbolo di tale bevanda, nonché il primo produttore al mondo, raggiungendo oggigiorno volumi di vendita all’estero mai raggiunti negli ultimi dieci anni, il mito della “tazzulella ‘e cafè” continua a contraddistinguere, insieme a pizza e mandolino, anche lo status italico, per voler citare gli stereotipi nostrani più “indolori”.
Ma siamo sicuri che il miglior caffè si beva in Italia? È stata questa la domanda attorno alla quale è sorta la recente inchiesta di Report (VIDEO IN BASSO), che ha visto il giornalista Bernardo Iovene e due esperti assaggiatori testare l’espresso in alcuni dei più rinomati bar napoletani, tra cui caffè Gambrinus e la Torrefazione Moreno.
Ebbene, la proposta gastronomica che si celava dietro la celebre “Miscela Segreta” si è rivelata a dir poco deludente: prodotti risultati rancidi e astringenti, chicchi troppo tostati, perdita dell’aroma durante il processo di preparazione, incerta provenienza del caffè.
Tuttavia, i risultati di quest’inchiesta non alterano uno scenario di crescente apprezzamento e rinnovata popolarità del caffè italiano, testimoniato, al di fuori dei confini nazionali, dal 4° posto detenuto nella classifica dei maggiori esportatori mondiali e, a livello di consumi interni, dalla recente proliferazione degli specialty coffee: bar specializzati in cui è possibile trovare caffè dalla provenienza certa (Etiopia, Colombia, Brasile, Ruanda) e in cui i titolari sono giovani e selezionano personalmente il proprio caffè e i loro produttori di riferimento.
E la Sicilia non rimane certo a guardare: realtà come Zicaffè continuano a dire la loro con riguardo alla qualità del caffè e alla crescente affermazione commerciale all’estero. Il loro successo deriva dall’efficace abbinamento di una gestione imprenditoriale fedele alla tradizione familiare (che vede adesso al timone Antonio Zichittella e il figlio Gabriele) ad una mentalità innovativa e aperta alle mutevoli richieste dei mercati internazionali, ove Zicaffè è presente capillarmente, sfruttando le sinergie economiche di numerosi paesi, in primis Marocco e Russia.
A livello sistemico, l’esportazione di questo prodotto richiede il continuo reperimento di concessionari esteri con i quali l’impresa madre possa interfacciarsi per proporre tanto il prodotto finito quanto i macchinari strumentali alla sua preparazione in loco. La complessità del processo di selezione dei concessionari esteri aumenta nella misura in cui si debba affidare a questi la delicata gestione dell’assistenza post-vendita.
Del pari, altrettanto delicato è il reperimento di materie prime che non provengono, come per la maggior parte delle produzioni agroalimentari siciliane, dal patrimonio interno alla regione, bensì da Paesi naturalmente e storicamente predisposti alla loro coltivazione e trasformazione, quali Brasile ed Etiopia.
Tuttavia, per esportare questo prezioso prodotto non c’è nessuna Miscela Segreta a celare la formula del successo, che si spiega unicamente in termini valorizzazione della tradizione e forte propensione ai mercati esteri.
Se vuoi saperne di più sull’esportazione del caffè e sui mercati internazionali di riferimento, scrivimi a marcomaria.scaglione@gmail.com
L’INCHIESTA DI REPORT:
“Caffè: il buono, il rancido e il ginseng” (del 03/06/2019)