“A fine mese, quando ricevo lo stipendio, faccio l’esame di coscienza e mi chiedo se me lo sono guadagnato”. Così diceva il giudice Paolo Borsellino.
Chissà cosa penserebbe oggi sentendo che Bruno Contrada, l’ex capo della Criminalpol ed ex numero due del Sisde (l’ex servizio segreto civile italiano, oggi AISI) ha richiesto un risarcimento allo Stato italiano per 3 milioni di euro per la sua vicenda giudiziaria.
È stata depositata, infatti, questa mattina presso la Corte d’Appello di Palermo dall’avvocato Stefano Giordano, la richiesta di riparazione dell’errore giudiziario. L’istanza nasce dalla decisione della Corte di Cassazione del 2017, con la quale – in ottemperanza di quanto statuito dalla CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) nel 2015 – è stata dichiarata ineseguibile e improduttiva di effetti la sentenza della Corte d’Appello di Palermo che condannò Contrada a 10 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
La CEDU infatti stabilì che il processo a Contrada era illegittimo e non doveva neppure essere iniziato poiché all’epoca dei fatti il reato del concorso esterno non era “sufficientemente chiaro” nel codice penale italiano e “il ricorrente non poteva conoscere nello specifico la pena in cui incorreva per la responsabilità penale che discendeva dagli atti compiuti”.
La sentenza dell’UE non assolve dunque Contrada dall’accusa pesantissima di aver favorito Cosa nostra, ma si limita semplicemente a dare un giudizio sul codice penale dello Stato Italiano: per i magistrati di Strasburgo “il reato di concorso esterno in associazione mafiosa è stato il risultato di un’evoluzione della giurisprudenza iniziata verso la fine degli anni ’80 e consolidatasi nel 1994 e che quindi la legge non era sufficientemente chiara e prevedibile per Bruno Contrada nel momento in cui avrebbe commesso i fatti contestatigli”.
Con l’istanza di oggi è stata richiesta “un’equa riparazione per oltre 3 milioni di euro, tenuto conto dell’indennizzo dovuto per la detenzione subita e del danno biologico, morale ed esistenziale subito da Contrada e dai suoi familiari più stretti per effetto di una vicenda processuale durata 25 anni”.
Per la strage di via d’Amelio invece, oggi dopo 27 anni siamo ancora al punto di partenza a causa del “colossale depistaggio” certificato dal Borsellino quater.
“Ho visto la mafia in diretta”. Così disse alla moglie Agnese il giudice Borsellino il 1 luglio del 1992, riferendosi a quel Bruno Contrada servitore fedele dello Stato. Lo stesso che – stando al racconto del pentito Gaspare Mutolo – incontrò il giudice Borsellino nei corridoi del ministero dell’Interno, per l’insediamento del ministro Nicola Mancino. Questi negò per anni di averlo visto, salvo poi fare dietrofront alla prova dell’agenda grigia in cui Borsellino segnava gli appuntamenti di lavoro.
“Quando Borsellino tornò dal ministero – racconterà Mutolo – era molto nervoso: a un certo punto mi misi a ridere perché stava fumando due sigarette contemporaneamente, una la teneva in bocca e l’altra in mano. Dopo Borsellino mi raccontò di aver incontrato il dottor Bruno Contrada che gli aveva detto: dica a Mutolo che se ha bisogno di chiarimenti sono a disposizione. A quel punto ho capito che il mio interrogatorio, che doveva restare segretissimo, era in realtà il segreto di Pulcinella”.
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