“A Pianosa io non ci volevo andare, ero terrorizzato. Prima della mia collaborazione, quando parlavo, avevo dei fogli scritti. Qualche appunto lo prendevo io e altri appunti, mentre ero al carcere di Pianosa, me li avevano consegnati. Quando ho deciso di collaborare avevo degli appunti scritti”. A parlare, nel corso del controesame dei pm al processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio, è l’ex falso pentito di mafia Vincenzo Scarantino, che ha risposto alle domande del Procuratore aggiunto Gabriele Paci.
Il processo vede imputati tre poliziotti – Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo – ex appartenenti del gruppo Falcone-Borsellino, che indagò sull’attentato in cui perse la vita il giudice Paolo Borsellino. Sono accusati di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra.
Una tesi smentita da Giovanni Guerrera, poliziotto, rispondendo come teste alle domande del Pm Gabriele Paci, nel corso dell’udienza nell’ambito del processo sul depistaggio della Strage di via D’Amelio.“Pianosa era sicuramente un carcere duro ma il falso pentito Vincenzo Scarantino non lamentò nulla di specifico o che fosse rimasto impresso nella mia memoria. I suoi discorsi non erano lineari ma non mi diceva nulla di particolare. Non ho mai ritenuto allarmante quello che diceva, nel senso che a quest’ora se avesse detto qualcosa di importante sarebbe rimasto inciso nella mia memoria”.
“L’unica cosa che dicevo a Scarantino – ha aggiunto – era, siccome era confusionario nelle sue dichiarazioni, ‘prendi un block notes e te le appunti così trovi una sequenza logica in quello che dici’. Gli suggerivo di fare una scaletta delle cose che gli erano successe”.
Guerrera, come lui stesso ha sottolineato, a Pianosa era stato individuato come ufficiale di collegamento a garanzia della sicurezza di Scarantino. “Sono certo che non mi abbia mai detto che non c’entrava nulla con le stragi. Io ho conosciuto Scarantino nei primi tempi della collaborazione quindi in quel momento i suoi problemi riguardavano più la moglie e i figli che altro”, ha concluso Guerrera rispondendo alle domande degli avvocati Giuseppe Seminara e Giuseppe Panepinto.
“Le indagini sono partite da elementi oggettivi che abbiamo puntualmente riscontrato e le piste investigative hanno avuto sempre piena rispondenza con gli elementi delle indagini”. Lo ha detto Salvatore La Barbera all’epoca dirigente della sezione Omicidi della Squadra Mobile di Palermo, che ha curato le indagini il giorno immediatamente dopo la strage di via d’Amelio.
Il funzionario, deponendo nel processo in corso a Caltanissetta sul depistaggio relativo alle indagini, ha risposto a una precisa domanda dell’avvocato Giuseppe Panepinto.
I tre, secondo l’accusa avrebbero manipolato il falso collaboratore di giustizia, Vincenzo Scarantino per indurlo a dichiarare ai magistrati una falsa verità sulla strage di via d’Amelio dando così vita al depistaggio delle indagini.
Parlando dell’immediato collegamento con la denuncia di furto delle targhe poi apposte sull’autobomba utilizzata dagli attentatori, il funzionario ha aggiunto: “La vicenda delle targhe destò immediatamente l’interesse investigativo sia per l’assonanza con la precedente strage in cui rimase vittima il dottore Chinnici, sia per rapporti di conoscenza tra Orofino, che aveva denunciato il furto delle targhe, e un pregiudicato noto agli inquirenti e dallo stesso incontrato al commissariato al momento della denuncia. Ricordo che probabilmente fui io stesso a inviare immediatamente la polizia scientifica presso la carrozzeria di Orofino cosa che rifarei oggi stesso”.
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