Dopo l’ennesimo suicidio di un ventenne palermitano, avvenuto solo qualche giorno fa, Pino Apprendi e Lucia Borghi, dell’Osservatorio sulle carceri di Antigone, hanno visitato il carcere di Barcellona Pozzo di Gotto (ME), ex ospedale psichiatrico giudiziario.
“Dire ex OPG – evidenziano i due osservatori – è un modo di dire, non solo perché arrivando nei pressi della struttura ancora sono collocati due cartelli bene in vista che indicano che stai arrivando in un OPG, ma perché visitando le celle non hai la sensazione di vedere detenuti dietro le sbarre, ma malati e ti chiedi perché. Perché – proseguono Apprendi e Borghi – dal 2015, quando si decise di chiudere definitivamente gli Opg, non si è fatto nulla, o pochissimo, per evitare questo stato di cose”.
Di fatto la Regione non ha mai preso in carico del tutto la struttura di Barcellona, dove prestano servizio tre psichiatri, di cui uno dipendente e due a contratto e tre psicologi e dove all’ottavo reparto ci sono oltre 60 malati.
“Altro capitolo è il reparto femminile, dove ci sono soltanto 8 donne, ma non grandi differenze con il maschile – sottolineano gli osservatori di Antigone Sicilia – . Entrando, anche lì, si vede ad occhio nudo che sei di fronte ad ammalati che non dovrebbero stare in un carcere dove la sera si chiude la porta con il blindo. Una scena straziante, persone che potrebbero stare in strutture alternative al carcere”.
Dal gennaio 2015 ad oggi quella di Barcellona Pozzo Di Gotto è la struttura carceraria siciliano dove percentualmente c’è il più alto tasso di suicidi rispetto al numero di detenuti con sei persone che si sono tolte la vita.
I detenuti, durante la visita, lamentavano la mancanza di attività, la mancanza d’impegno, niente lavoro, niente attività ricreative, soltanto qualche ora d’aria.
“Ci chiedevano: ma come possiamo guarire in queste condizioni? Se ci lamentiamo riceviamo soltanto rapporti informativi e provvedimenti disciplinari, per colloqui con lo psicologo dobbiamo inoltrare domanda e dopo 15 giorni veniamo contattati. La salute e la vita burocratizzata”, concludono Pino Apprendi e Lucia Borghi.