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Maria Antonietta Coccanari de’ Fornari, medico psichiatra con la passione per la scrittura | INTERVISTA

martedì 8 Marzo 2022
Maria Antonietta Coccanari de' Fornari

«Scrivo per pochi, la mia è una letteratura difficile, per una élite. Non posso misconoscere che questo sia anche vero, e lo stesso Moravia affermò che per me, per questo motivo, sarebbe stato molto difficile affermarmi su larga scala, ma che se i miei scritti fossero arrivati nelle mani giuste, sarei “esplosa”. Purtroppo morì prima di poter appoggiare i miei progetti» Maria Antonietta Coccanari de’ Fornari

Maria Antonietta Coccanari de’ Fornari

Ciao Maria Antonietta, benvenuta e grazie per aver accettato il nostro invito. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori che volessero sapere di te quale medico psichiatra e scrittrice?

Come psichiatra sono stata responsabile per tanti anni del Day Hospital psichiatrico della Sapienza Università di Roma, dove ho adottato il Trattamento Integrato (farmaci + Psicoterapie individuali e di Gruppo) anche nei percorsi della Riabilitazione psichiatrica, dando un certo rilievo anche all’Arteterapia, in particolare alla filmtherapy su cui ho organizzato molte conferenze e convegni interdisciplinari e prodotto varie pubblicazioni tra le quali un libro di testo per i miei studenti. Contemporaneamente in questa Università sono stata professore di Psichiatria, di Psicoterapia psicodinamica, di Storia della Psichiatria, di Riabilitazione psichiatrica nella Facoltà di Medicina. Dal 1985 al 1994 ero stata Conservatore del Museo di Storia della Medicina nello stesso Ateneo.

Come scrittrice, scrivo da sempre, avevo 6 anni quando l’Osservatore Romano di cui il mio papà era corrispondente, pubblicò la mia prima poesia. Ho continuato a scrivere sempre, pubblicazioni scientifiche, pezzi giornalistici (sono scritta all’ordine del Lazio), racconti con cui ho vinto molti primi premi a concorsi, e 3 romanzi. Di recente ho fondato una corrente culturale che si chiama EQUILIBRISMO, il focus di esso è la grande padronanza di quanto è già stato detto storicamente in ogni aspetto dell’Arte e della cultura in generale, per manipolarlo e re-inventarlo anche con aspetti interdisciplinari in una impronta creativa personale irripetibile e riconoscibile.

Chi è invece Maria Antonietta Donna al di là della sua passione per la scrittura e per la psichiatria? Cosa puoi raccontarci della tua quotidianità?

Ora sono in pensione e nella quotidianità non sono assorbita dalla vita pragmatica, continuo piuttosto ad essere assorbita da interessi culturali. Molto tempo mi occupa ancora l’organizzazione di eventi culturali e sociali con particolare riguardo al servizio per la Comunità, per esempio come prefetto del Rotary club di Tivoli o come presidente della sezione di Tivoli dell’Associazione Medici Cattolici Italiani. C’è anche un lato frivolo di me, e lo shopping, la cura della persona, sono una spensieratezza necessaria a ricaricarmi, “la profondità della superficie” io dico.

Qual è il tuo percorso accademico, formativo, professionale ed esperienziale che hai seguito e che ti ha portato a fare quello che fai oggi nel vestire una doppia e interessante identità professionale, la psichiatra e la scrittrice?

Come psichiatra, oltre naturalmente la specializzazione dopo la laurea in Medicina e Chirurgia, la costante Lezione di Maestri e mentori che ho avuto la fortuna d’incontrare come Bruno Callieri, Ernesto Bollea, Vittorio Volterra, Luigi Frighi solo per fare qualche nome; un percorso junghiano con l’indimenticabile Giuseppe Bartalotta; l’adesione alla Società Italiana di Psicologia Individuale (adleriana). Molto utili anche i corsi di Psicodramma tenuti dall’amata Sabina Manes con Massimo Crescimbene.

Come scrittrice, non ho percorsi accademici specifici. La passione per la cultura che ha sempre dominato a casa mia, la frequentazione d’intellettuali, gli incontri significativi, anche con scrittori che sono stati decisivi (cito solo Fulvio Tomizza che per me è stato il più importante) e le inesauribili letture sin dalla prima elementare. Nel lodare i miei temi, infatti, la maestra scrisse sul libretto che conservo, che la loro riuscita dipendeva anche dalle “molte letture”, dalla “passione” per la lettura.

Come nasce la tua passione per la psichiatria? Chi sono stati i tuoi maestri e quali gli autori che da questo punto di vista ti hanno segnato e insegnato a svolgere bene la tua professione di medico psichiatra? Quale il tuo modello clinico e psicoterapeutico di riferimento?

La mia passione? Credo dalla nascita. Nel senso che già da piccola avevano coniato per me, parafrasando una celebre trasmissione radiofonica di consigli degli anni ’60, “chiamate Maria Antonietta 3131”. Era un’attitudine ad osservare, ascoltare, comprendere. Nella prima lezione di Specializzazione in Psichiatria, l’allora direttore Giancarlo Reda disse: “psichiatri si nasce”. Senza attitudine, come in tutte le professioni, ma in questo tipo di professioni in particolare, la tecnica appresa, da sola, non può creare un bravo professionista. Su Maestri e modelli è quanto detto sopra.

Ci parli dei tuoi libri, “Il Romanzo invisibile” e “Pater Belladonnae”? Come nascono, qual è l’ispirazione che li ha generati, quale il messaggio che vuoi che arrivi al lettore, quale le storia che ci racconti senza ovviamente fare spoiler, e quando sono stati pubblicati?

In parte s’ispirano a esperienze personali perché ognuno scrive quello che conosce, come è logico. Poi però prendono la mano una grande vivacità immaginifica e la ricerca sperimentale del linguaggio. Quest’ultimo è la chiave essenziale, tanto che la Prefazione del “Romanzo invisibile” è del filosofo del Linguaggio Massimo Baldini. Ora sto per ripubblicare su Amazon ebook la seconda edizione del mio terzo romanzo “La vera casa di Caio” (prima edizione Aletti 2006), anomalo rispetto al resto della mia narrativa, per una impronta di carattere politico-economico che potrebbe avere un suo interesse molto attuale proprio in questo frangente della nostra Storia.

Chi sono i destinatari che hai immaginato mentre li scrivevi?

È stato ripetutamente detto e scritto che io scrivo per pochi, che la mia è una letteratura difficile, per una élite. Non posso misconoscere che questo sia anche vero, e lo stesso Moravia affermò che per me, per questo motivo, sarebbe stato molto difficile affermarmi su larga scala, ma che se i miei scritti fossero arrivati nelle mani giuste, sarei “esplosa”. Purtroppo morì prima di poter appoggiare i miei progetti. Il fatto è che entrambi avevamo fiducia in una evoluzione intellettuale del genere umano, pensando che quello che oggi è accessibile a pochi, un giorno potrà diventare linguaggio consueto. Pur consapevoli che la maggior parte dei linguisti non nutre affatto questa nostra speranza, anzi…

Una domanda difficile, Maria Antonietta: perché i nostri lettori dovrebbero comprare “Il Romanzo invisibile” e “Pater Belladonnae”? Prova a incuriosirli perché vadano in libreria o nei portali online per acquistarli.

Per quanto sopracitato, domanda davvero difficile. Però, a parte l’eventuale curiosità per un uso inconsueto della Parola, come appunto, scrive tutta la critica (più volte è stato scritto che è “il linguaggio il vero protagonista” della mia narrativa), potremmo anche ridurre al semplice contenuto la loro eventuale appetibilità. Per il “Romanzo invisibile”, storia sentimentale tra due psichiatri, la difficoltà della comunicazione amorosa, i fraintendimenti, gli errori che le parole e il silenzio inducono nelle relazioni arrivandone a martoriare le premesse positive. Per il “Pater Belladonnae”, che è una sorta di viaggio dantesco al femminile compiuto da una donna di nome Beatrice in una città immaginaria, futura, costruita tra le rovine di una Villa d’Este e quindi atemporale come l’Inconscio, l’analisi del moderno conflitto femminile, dal passaggio adolescenza-maturità, con la realizzazione finale tra progetti di emancipazione professionale e felicità amorosa.

C’è qualcuno che vuoi ringraziare che ti ha aiutato a realizzare queste opere letterarie? Se sì, chi sono queste persone e perché le ringrazi pubblicamente?

Ho da ringraziare una tale infinità di persone che davvero non so da dove cominciare. Senza l’appoggio del lettore lo scrittore che cosa sarebbe? Non lo so. Per me comunque è importantissima la condivisione, nonostante le difficoltà della mia penna di cui si è detto. E cerco di fare una sintesi. Prima di tutto ringrazio gli amici, tanti, tanti, e i critici che hanno non solo letto, ma proprio “studiato” (come mi scriveva anche Tullio De Mauro) i miei lavori. E prima di tutto l’Amica Alma Daddario, drammaturga e giornalista, prima firmataria con l’altra Amica Rosa Mininno, del Manifesto della corrente EQUILIBRISMO, che fu autrice di una recensione commovente su Paese Sera (1993) del “Romanzo invisibile”. Ringrazio l’amica defunta Patrizia Imperiali, grande poetessa del ‘900 perché dal nostro scambio culturale quotidiano dall’infanzia è scaturita tanta creatività nella formazione di un certo bagaglio, e la stessa cosa vale per il mio defunto cugino Alessandro Borgia, filosofo e scrittore finissimo, e per l’amica geniale, sempre defunta, Luana Potenti (a Patrizia e Luana è dedicata la seconda edizione del mio romanzo “Pater Belladonnae”). Poi Fulvio Tomizza, ripeto, incontro desiderato fin da bambina e realizzato in maniera quasi magica per una sincronicità che portò a una corrispondenza fino alla sua morte (1999) dopo esserci incontrati una sola volta nel 1993 in una cena di amici comuni, che nello scrivere, sempre del “Romanzo Invisibile”, “siamo nell’eccezione: di questo non ho alcun dubbio”, ha creato per me una delle felicità maggiori e il consolidamento di un’autostima scrittoria che, pur accanto a una necessaria autocritica, fondamentalmente non mi ha più abbandonata. Poi voglio ringraziare il Maestro Bruno Callieri che mi ha sempre onorato della presentazione dei miei libri e di alcune prefazioni e postfazioni, sia per le opere scientifiche che per quelle letterarie. E il più importante libraio di Roma, Remo Croce, dove furono presentati tutti i miei libri, grande sostenitore di essi. Poi, novità assoluta, alcuni Amici di Facebook (accedo ai social solo da un anno) che mi seguono sia sulla pagina EQUILIBRISMO sia sulla mia Pagina personale dove curo I MERCOLEDI LETTERARI, sia sulla Paina giornalistica D&C Communication dove curo una rubrica quindicinale di Cinema e psiche. Tra di essi, anche tu, caro Andrea Giostra, eccolo, che mi onora della sua attenzione, m’intervista, mi lusinga e mi rassicura: grazie di cuore!

«… mi sono trovato più volte a riflettere sul concetto di bellezza, e mi sono accorto che potrei benissimo (…) ripetere in proposito quanto rispondeva Agostino alla domanda su cosa fosse il tempo: “Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so.”» (Umberto Eco, “La bellezza”, GEDI gruppo editoriale ed., 2021, pp. 5-6). Per te cos’è la bellezza? La bellezza letteraria e della scrittura in particolare, la bellezza nell’arte, nella cultura, nella conoscenza… Prova a definire la bellezza dal tuo punto di vista. Come si fa a riconoscere la bellezza secondo te?

Troppo si è detto, e io, umilmente, che cosa ho da aggiungere a un discorso tanto complicato? Ripeto la definizione che mi piacque di più, quella di una persona sconosciuta: “La Bellezza è l’incanto”.

«Appartengo a quella categoria di persone che ritiene che ogni azione debba essere portata a termine. Non mi sono mai chiesto se dovevo affrontare o no un certo problema, ma solo come affrontarlo.» (Giovanni Falcone, “Cose di cosa nostra”, VII ed., Rizzoli libri spa, Milano, 2016, p. 25 | I edizione 1991). Tu a quale categoria di persone appartieni, volendo rimanere nelle parole di Giovanni Falcone? Sei una persona che punta un obiettivo e cerca in tutti i modi di raggiungerlo con determinazione e impegno, oppure pensi che conti molto il fato e la fortuna per avere successo nella vita e nelle cose che si fanno, al di là dei talenti posseduti e dell’impegno e della disciplina che mettiamo in quello che facciamo?

La conoscenza della vita c’insegna che succedono entrambe le cose. Personalmente mi muovo con degli obiettivi fondati sulla percezione delle mie dotazioni e la consapevolezza dei limiti, ma soprattutto per il piacere di creare, anche nelle piccole cose di tutti i giorni; spero nella realizzazione dei desideri e agisco per la sua attuazione ma senza accanimento; fortuna e fato, che io chiamo sincronicità, hanno la loro parte; è l’Inconscio che la guida, infine tutto dipende dall’intima profonda convinzione di meritare il successo o non.

«La lettura di buoni libri è una conversazione con i migliori uomini dei secoli passati che ne sono stati gli autori, anzi come una conversazione meditata, nella quale essi ci rivelano i loro pensieri migliori» (René Descartes in “Il discorso del metodo”, Leida, 1637). Qualche secolo dopo Marcel Proust dice invece che: «La lettura, al contrario della conversazione, consiste, per ciascuno di noi, nel ricevere un pensiero nella solitudine, continuando cioè a godere dei poteri intellettuali che abbiamo quando siamo soli con noi stessi e che invece la conversazione vanifica, a poter essere stimolati, a lavorare su noi stessi nel pieno possesso delle nostre facoltà spirituali. (…) Ogni lettore, quando legge, legge sé stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in sé stesso.» (Marcel Proust, in “Sur la lecture”, pubblicato su “La Renaissance Latine”, 15 giugno 1905 | In italiano, Marcel Proust, “Del piacere di leggere”, Passigli ed., Firenze-Antella, 1998, p.30). Tu cosa ne pensi in proposito? Cos’è oggi leggere un libro? È davvero una conversazione con chi lo ha scritto, come dice Cartesio, oppure è “ricevere un pensiero nella solitudine”, ovvero, “leggere sé stessi” come dice Proust? Dicci il tuo pensiero…

Non farmi contraddire Proust, per carità, che è il mio scrittore preferito, la mia casa è un vero e proprio museo proustiano e un giornalista recentemente intervistandomi a casa mia ha titolato il pezzo “Le stanze di Proust”. Sono valide, secondo me, entrambe le cose. Dipende molto dalla personalità del lettore. Che in ogni caso, ha ragione Proust, proietta sé stresso in ogni personaggio e situazione, stesso meccanismo del sogno. Dato che letteratura e cinema ci trasportano effettivamente in un’altra dimensione.

«Non mi preoccupo di cosa sia o meno una poesia, di cosa sia un romanzo. Li scrivo e basta… i casi sono due: o funzionano o non funzionano. Non sono preoccupato con: “Questa è una poesia, questo è un romanzo, questa è una scarpa, questo è un guanto”. Lo butto giù e questo è quanto. Io la penso così.» (Ben Pleasants, The Free Press Symposium: Conversations with Charles Bukowski, “Los Angeles Free Press”, October 31-November 6, 1975, pp. 14-16.) Secondo te perché un romanzo, un libro, una raccolta di poesie abbia successo è più importante la storia (quello che si narra) o come è scritta (il linguaggio utilizzato più o meno originale, armonico, musicale, accattivante per chi legge), volendo rimanere nel concetto di Bukowski?

Affermo pubblicamente di non amare Bukowski, pur in tutta la sua inconfutabile grandezza. Detto questo, credo che generalizzare sia sterile. Ogni opera nasce con criteri diversi. È celebre l’infaticabile correzione di Leopardi prima di mettere Fine a un sua Poesia. Altri buttano giù. Contenuto? Linguaggio? Dovrebbero avere entrambi valore in un’opera compiuta. Dipende anche dal genere. Il giallo vuole l’intreccio, l’avanguardia vuole climax e   Parola. È pur vero quanto affermava anche Freud che, dato che più meno è stato detto tutto, non è importante il “che” ma il “come”. D’altra parte la letteratura e la filmografia negli ultimi decenni hanno dato sempre più spazio al segreto piuttosto che al plot.

«Io vivo in una specie di fornace di affetti, amori, desideri, invenzioni, creazioni, attività e sogni. Non posso descrivere la mia vita in base ai fatti perché l’estasi non risiede nei fatti, in quello che succede o in quello che faccio, ma in ciò che viene suscitato in me e in ciò che viene creato grazie a tutto questo… Quello che voglio dire è che vivo una realtà al tempo stesso fisica e metafisica…» (Anaïs Nin, “Fuoco” in “Diari d’amore” terzo volume, 1986). Cosa pensi di queste parole della grandissima scrittrice Anaïs Nin? E quanto l’amore e i sentimenti così poderosi sono importanti per te e incidono nella tua scrittura, nella tua arte e nel tuo lavoro?

Che si può dire di queste parole di questa scrittrice? Parole sante.

Se per un momento dovessi pensare alle persone che ti hanno dato una mano, che ti hanno aiutato significativamente nella tua vita professionale e umana, soprattutto nei momenti di difficoltà e di insicurezza che avrai vissuto, che sono state determinanti per le tue scelte professionali e di vita portandoti a prendere quelle decisioni che ti hanno condotto dove sei oggi, a realizzare i tuoi sogni, a chi penseresti? Chi sono queste persone che ti senti di ringraziare pubblicamente in questa intervista, e perché proprio loro?

Credo di aver riposto in una domanda precedente. Naturalmente devo ringraziare per primi padre e madre per la loro esistenza nei momenti più bui. Mio figlio per la pazienza, suo figlio per l’aiuto tecnologico, prezioso, date le mie abitudini antiche di carta penna e calamaio. E altri 4 mentori-chiave: il prof. Domenico Giubilei mio Maestro di Chirurgia ma anche di Vita che fino al giorno della sua morte mi disse parole che hanno consolidato in me il coraggio di vivere; il grande avvocato Giovambattista Petrocchi paterna e insostituibile guida soprattutto morale; il prof. Camillo Pierattini che mi assegnò una specie di compito della vita non dimenticando mai di onorare la memoria degli avi non dimenticandoli e non facendoli dimenticare; Piero Pascucci, con le sue caricature da regina di tutte le epoche e di tutte le latitudini, con il suo scherzoso “Maestà…” nomignolo che mi risuona come un ammonimento affettuoso, dopo la sua morte, ogni volta che sto per compiere qualche sciocchezza

Gli autori e i libri che secondo te andrebbero letti assolutamente quali sono? Consiglia ai nostri lettori almeno tre libri da leggere nei prossimi mesi dicendoci il motivo della tua scelta.

Il motivo è lo stesso per tutti e tre: sono in letteratura i massimi trattati psicologici al di fuori della psicologia: “La Recherche” di Marcel Proust, “I demoni” di Dostoevski, “Il rosso e il nero” di Stendhal. Aggiungerei però “Gli inconsolabili” del Nobel giapponese Ishiguro: il più bel libro degli ultimi trent’anni, anche esteticamente inarrivabile.

Ti andrebbe di consigliare ai nostri lettori tre film da vedere? E perché secondo te proprio questi?

Il più bello della Storia del Cinema è, secondo me e anche altri, “C’era una volta in America”, implicita trasposizione della “Recherche” secondo affermazione dello stesso Sergio Leone, sintesi di magnificenza sotto tutti gli aspetti, spettacolari e filosofici con una Musica di Morricone che è a sua volta la più bella della Storia del cinema. Al secondo e al terzo posto ce ne sono troppi. Intanto rivediamo in quest’ottica “C’era una volta…”

Ci parli dei tuoi imminenti e prossimi impegni culturali e professionali, dei tuoi lavori in corso di realizzazione? A cosa stai lavorando in questo momento? In cosa sei impegnata che puoi raccontarci?

Con l’amica Alma Daddario abbiamo scritto un film per Carlo Verdone che però ci fa sapere che è impegnato per tre anni in fiction e film. Non possiamo aspettarlo di certo, penseremo a qualche altro attore brillante, e si accettano suggerimenti. Sempre con la Daddario stiamo organizzando un grande Convegno su Proust nel centenario della morte anche con inserimento teatrale di una pièce di questa drammaturga, sull’aspetto della gelosia nella “Recherche”. Poi continuo a scrivere tutti i giorni articoli di cinema e letteratura, compresi quelli per la prestigiosa rivista fondata dal padre di Verdone, “Teatro contemporaneo e Cinema”, oggi brillantemente diretta dal prof. Gianfranco Bartalotta; insomma, mi diverto, le 24 ore non mi bastano mai. Poi porto avanti il messaggio della corrente che ho fondata EQUILIBRISMO, per la quale ho scritto insieme con un musicista la canzone vessillo che diffonderemo insieme con il Manifesto della corrente che sarà poi definita in un libro che conto di pubblicare tra qualche mese.

Dove potranno seguirti i nostri lettori?

Su quanto ho già nominato: sulle 3 Pagine Facebook (Pagina personale, Gruppo EQUILIBRISMO, Pagina D&C Commumication), su “Teatro contemporaneo e Cinema”, su Amazon ebook per i romanzi, e come free lance su varie testate del territorio.

Come vuoi concludere questa chiacchierata e cosa vuoi dire a chi leggerà questa breve intervista?

Voglio dire: in questi giorni tragici, non desidero avventurarmi nella riflessione sulla guerra attuale che è il disastro di tutte le guerre di cui non sapremo mai le verità sottese e gestite dalla crudeltà delle potenze con spargimento di sangue innocente perché questa è la storia del mondo. Voglio però solo dire: cerchiamo anche nella cultura, sia la nostra Pace intima sia le indicazioni a una possibilità di un mondo, magari molto futuro, senza guerra. Freud era pessimista su questa possibilità, il suo pupillo viennese Alfred Adler non lo era e riteneva che una educazione precoce e continua individuale e collettiva alla coltivazione del Sentimento comunitario che non rendesse prevaricante l’altra motivazione umana che è la Volontà di potenza, potesse rendere un giorno possibile questa evoluzione. Sono stata onorata di aver potuto portare una Lezione annuale su questo tema nel bellissimo Modulo interfacoltà di Educazione alla Pace tenuto dalla Professoressa Maria Luisa Angrisani alla Sapienza Università di Roma. L’impegno degli intellettuali non mostrerà risultati immediati. Ma in nome della prospettiva, bisogna continuare a lavorare. Grazie.

Maria Antonietta Coccanari de’ Fornari

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Maria Antonietta Coccanari de’ Fornari

I libri:

Maria Antonietta Coccanari de’ Fornari, “Il Romanzo invisibile”, AMAZON ed.

Maria Antonietta Coccanari de’ Fornari, “Pater Belladonnae”, AMAZON ed.

 

Andrea Giostra

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Andrea Giostra
Andrea Giostra al mercato di Ballarò di Palermo_Ph. Mapi Rizzo
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