OMICIDIO SALVO LIMA
il 12 marzo 1992 veniva ucciso in via delle palme, a Mondello, l’on.le Salvo Lima, uno dei riferimenti politici più importanti della Sicilia di quegli anni.
L’omicidio, commesso con fredda determinazione, ha una chiara matrice ed infatti viene subito imputato dagli inquirenti a Cosa Nostra.
Sulle ragioni di quell’esecuzione si scatenano, però, rissose interpretazioni, molte dettate da pregiudizi politici, che non consentono una serena analisi dei fatti. Su quella morte pesa, infatti, la storia personale e politica della vittima che, innegabilmente era stato un uomo di potere che aveva gestito, spesso in modo molto disinvolto e non andando troppo per il sottile, lo stesso potere soprattutto nella città di Palermo di cui era stato sindaco per molti anni.
Lima, insieme a Giovanni Gioia e Vito Ciancimino, erano stati fra i protagonisti del cosiddetto “sacco di Palermo”, un’orrenda speculazione edilizia che ha deturpato la città compromettendone il futuro urbanistico, anche se, come ricordava Anna Pomar – una onesta scrittrice di sinistra – per correttezza è giusto aggiungere che la responsabilità si caricava “soprattutto sulla borghesia e sugli intellettuali siciliani e non, che assistevano docili allo scempio…senza gridare allo scandalo”.
Sempre Lima, che blandito dalla buona borghesia palermitana, perfino da quella non molto tenera con il suo sistema di potere, non aveva selezionato il suo elettorato – voto non olet si diceva allora – che registrava anche persone poco affidabili. mi riferisco a gente in odor di mafia, che, in ogni caso, ne offuscavano l’immagine pubblica.
In poche parole, pur non essendo mai stato indagato per mafia, lo stesso Giovanni Falcone pare che, diversamente da Vito Ciancimino, non lo ritenne mai tale, dall’opinione pubblica, martellata dalla propaganda dei suoi detrattori, veniva considerato vicino agli ambienti di Cosa Nostra.
A Lima veniva, inoltre, dai suoi detrattori attribuita, grazie agli appoggi romani di cui godeva – nel caso specifico, il presidente del consiglio Giulio Andreotti – perfino la capacità, mai però provata, di fare aggiustare i processi di mafia intervenendo su magistrati compiacenti, evitando così agli affiliati di Cosa Nostra la galera.
Una storia, quest’ultima che servì per quella facile interpretazione dell’uccisione del potente democristiano che soddisfaceva non solo i cultori di un’antimafia strumentale alla lotta politica ma perfino a chi, anche per il mestiere che faceva aveva il compito di approfondire le ragioni di quell’omicidio. In sintesi Salvo Lima, già sindaco di Palermo e presunto mediatore fra mafia e politica, sarebbe stato liquidato perché non sarebbe stato più considerato canale affidabile e utile a garantire la benevolenza del potere politico nei confronti della criminalità organizzata.
A chi formulava questa ipotesi, che peraltro faceva molta presa fra quanti avevano tutto l’interesse a screditare il personaggio, questa interpretazione appariva tanto logica che soddisfacente da scartare un’altra e forse fin troppo banale ipotesi, cioè quella che ad un attento, ma anche libero da pregiudizi, osservatore delle vicende di quegli anni, sarebbe potuta apparire in realtà molto più plausibile.
E cioè che Salvo Lima, in fin dei conti, potesse essere stato vittima di un gioco perverso, una vendetta trasversale di una mafia, quella dei corleonesi, che in un eccesso di delirio di onnipotenza, si fosse convinta di potere piegare lo Stato ai suoi voleri.
Lima potrebbe essere stato, infatti, ucciso perché legato politicamente a Giulio Andreotti che, vedi caso, risultava essere il presidente del Consiglio che – con buona pace di chi lo ha considerato colluso – più di molti altri, nella storia del dopoguerra, si era occupato di mafia assumendo provvedimenti di una pesantezza e di una gravità fino ad allora inimmaginabili. Provvedimenti che – e traggo l’informazione da “La Caduta”, l’onesto saggio di Calogero Pumilia -, come ricordava un personaggio con una limpida e cristallina storia politica del calibro del professore Giuliano Vassalli, erano stati adottati ancor prima dell’arrivo di Falcone a Roma e quindi dallo stesso promossi, ma ”fin dal momento in cui [Andreotti] assunse la carica”.
E che questa potrebbe essere una ricostruzione plausibile, lo potrebbe dimostrare anche una attenzione allo svolgersi degli eventi successivi. Quell’omicidio, infatti, avviene alla vigilia della programmata presenza di Andreotti a Palermo per la campagna elettorale dell’aprile del 1992.
L’omicidio Lima potrebbe, in questo caso, apparire un lugubre messaggio di morte lanciato nei confronti del presidente del Consiglio.
Se tale tesi fosse accolta, quello di Lima si iscriverebbe, senza ombra di dubbio, nella catena di attentati che da decenni colpivano uomini e simboli dello Stato e della Chiesa – quest’ultima resa obiettivo dalla milizia antimafia suscitata dalle parole forti di Giovanni Paolo II ad Agrigento – che vedranno, di lì a poco, il sacrificio di Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino, e quindi le bombe contro le Chiese romane.