Il ritorno di Gigi Borruso alle opere del drammaturgo inglese Harold Pinter passa attraverso un viaggio esistenziale e politico, dentro l’alienazione e la violenza del nostro mondo.
In prima assoluta al teatro Ditirammu, fino al 15 dicembre, in scena una suite di due brevi drammi pinteriani, in due atti unici: “Victoria Station” e “Il bicchiere della Staffa”.
Entrambi “indagini” fredde e puntuali della dimensione umana.
L’alienazione dell’individuo prende vita in un dialogo notturno tra due uomini qualunque, un tassista e l’addetto del radiotaxi. Una notte come tante in cui si dispiegano le architetture di una solitudine pressante.
I due drammi
Da un lato 274, un numero che è fatto di carne, ossa e sentimenti appena sbocciati; dall’altro “un monaco che vive di stenti, cercando di dare un senso a questa vita“.
Nel breve, e apparentemente sterile, dialogo c’è lo scrigno prezioso delle paure più antiche dell’uomo: “Ti prego non mi abbandonare così… Io sono il tuo uomo e l’unico di cui ti puoi fidare“.
Recita Dario Frasca nei panni del tassista; mentre un bravo e puntuale Gigi Borruso, nei panni dell’addetto al radio taxi, da voce alle riflessioni di Pinter: “Sono solo in questo cazzo di ufficio e nessuno che mi vuole bene“.
E sullo sfondo (scene e costumi sono di Valentina Console) l’atmosfera della fredda Londra.
Buio in sala: va in scena una lotteria, che andrà sempre a vuoto, e si cambia prospettiva.
Nè “Il bicchiere della staffa” è la denuncia politica ad essere protagonista: la rendicontazione di meccanismi di potere tipici dei regimi totalitari, la manipolazione del linguaggio, la sopraffazione fisica, finalizzata all’annientamento dell’individuo e alla sua omologazione; pena la morte.
La scena asciutta ed essenziale cala lo spettatore in uno spazio claustrofobico e alienato, come i suoi personaggi, immersi nelle gabbie delle proprie illusioni esistenziali.
È un luogo senza tempo e senza connotazioni particolari, se non quelli della lucida follia tipica dei regimi, quello in cui il linguaggio si fa brutale e sgradevole.
A trent’anni dal debutto
Borruso nei panni di Nicolas, che torna a vestire a trent’anni esatti dal suo esordio con la regia di Michele Perriera, propone un convincente personaggio: feroce, dall’ironia nera. Il gerarca di un regime qualunque in un tempo qualunque.
La centralità del linguaggio tra pause e accelerazioni, ironia e crudeltà, è il fil rouge tra le due brevi pièce.
“La sua anima si manifesta attraverso gli occhi… mi guardi“: si richiede onestà, “la condotta migliore“, mettendo al bando la disperazione anche in condizioni disumane.
Ne Il bicchiere della staffa, infatti, inghiottita nelle stanze di una violenza inaudita si trova una giovane famiglia di trentenni, con un figlio di 11 anni che, a causa della libertà che la sua età gli concede, non potrà essere piegato come i genitori, e dunque sarà l’unico epurato.
Ad affiancare il regista e attore palermitano sul palco, oltre a Dario Frasca, le due giovani attrici Alessandra Guagliardito e Lucrezia Orlando; luci di Vittorio Di Matteo, assistente alla regia Joshua O’Neill.
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(Foto di scena di Rossella Puccio)