Ha rischiato il fallimento dopo la confisca per mafia. Lo Stato non era riuscito a rilanciare un’azienda che fatturava più di un milione di euro all’anno a causa di un debito di soli 30 mila euro vantato, ironia della sorte, proprio da una società pubblica, l’Eni. Dall’estate scorsa la Calcestruzzi Belice di Montevago è una società sana, grazie alla mobilitazione di cittadini, enti locali, sindacati, chiesa e soprattutto dei lavoratori. Quest’ultimi hanno chiesto la gestione diretta dell’azienda, attraverso la costituzione di una cooperativa.
Sì, potrebbe essere questo il lieto fine di una storia travagliata e turbolenta, come accade spesso quando si tratta di beni e imprese sottratte ai boss. La richiesta è stata presentata all’Agenzia nazionale per i beni confiscati, che la sta valutando con molta attenzione. Gli 11 lavoratori, che a gennaio del 2017 avevano ricevuto la lettera di licenziamento, potranno assumere la guida dell’impresa come è avvenuto con la Calcestruzzi Ericina di Trapani.
La domanda non dovrebbe incontrare ostacoli. E’ stato completato il lungo e complesso iter delle autorizzazioni, grazie al lavoro di un esperto nominato dalla stessa Agenzia. Alcune, quindi, sono già in possesso dell’azienda. Altre, invece, sono in procinto di essere rilasciate dagli organi competenti. Inoltre, il volume d’affari rilevato nel secondo semestre del 2017, ovvero da quando la società è tornata ad essere operativa, è di 70 mila euro al mese. Un fatturato che si attesta sugli stessi livelli di quello precedente alla chiusura.
Infine, altro aspetto non meno rilevante, l’iniziativa gode del sostegno della comunità locale e dell’associazionismo antimafia, che in tutto quest’anno hanno sostenuto i lavoratori durante il loro calvario. Adesso, superato l’incubo della chiusura e della perdita del posto, è arrivato il momento di fare un ulteriore salto di qualità, dimostrando che i beni e le aziende confiscate alla mafia possono continuare a produrre ricchezza e lavoro nella legalità.