Carissimi
come i miei colleghi avevo il privilegio alle 8 del mattino di assistere ad un momento unico, se visto oggi, a distanza di tempo con gli occhi una persona matura. La riproposizione di quello che in passato aveva rappresentato il focolare domestico la sera, quando agli inizi del secolo scorso la famiglia si riuniva dopo cena e prima di andare a letto sentiva il padre o il nonno narrare storie della tradizione popolare orale.
Il focolare era sostituito da un’aula universitaria e il nonno per noi era il Prof. Ing. Rosario La Duca che ci trasmetteva e insegnava amore per le nostre origini e ci donava un metodo d’indagine storico sociale per meglio apprezzare la storia delle nostre città.
Ho imparato attraverso i suoi racconti, i suoi scritti, ad amare la mia Palermo e benché come molti spesso alterno momenti di “amore e odio”, quest’odio non è mai stato un “odio viscerale” bensì uno dei tanti momenti di stizza fomentato dalle molte cose che spesso non funzionano ma di contro non ho mai permesso a nessuno di offendermela.
Posso dire di non aver mai tradito la mia città anche quando mi sono vergognato di Lei e quando l’ho fatto ho circoscritto questi momenti nella nostra intimità, non esternandoli con chi di Palermo non fosse, perché da sempre ho compreso che lo spirito fazioso e campanilistico che caratterizza le altre città è difficilmente riscontrabile in questo capoluogo siciliano forse a causa delle moltitudini di popoli e di razze diverse che qui hanno soggiornato.
Pertanto conosciutone la storia mi sono reso conto e preso consapevolezza di aver avuto un privilegio nell’aver lavorato per “Lei”. Anche se di me non ne resterà il ricordo è stato bello contribuire a creare o mantenere qualcosa della quale gli altri dopo di me ne potrebbero godere.
Con questo spirito, pensate a come sono stato orgoglioso nel mio piccolo quando ho dovuto rappresentarLa o molto più spesso, ho dovuto raccontarLa a chi non la conosce.
In quelle occasioni, Palermo per me è stata una unica entità dove bene e male convivevano per dare un unico risultato prevalente, quello positivo, e qualunque stortura sopperiva davanti alla preponderante bellezza, ogni deficienza veniva sepolta dalla preponderante intelligenza.
La mia città per me è stata un bella “donna dai capelli lunghi” che ha amoreggiato con tanti viaggiatori e forestieri, che ha avuto anche qualche cattiva frequenza, ma se lo ha fatto, l’ha fatto soltanto per troppo amore o per facili infatuazioni ma a nessuno, proprio per questo, è consentito mancarLe di rispetto.
Molti per egoismo si sono illusi di poterla avere tutta per sé soltanto perché Lei ha saputo mostrare in particolari momenti leggere simpatie, spesso sincere, spesso spinte da una grande solitudine.
Comprenderete perché mi fa incazzare soltanto il pensiero di chi crede di poterne fare ciò che vuole, di chi approfittando delle simpatie pro-tempore ostenta arroganza, vantando la Sua compagnia e la va mostrando a destra e a manca, vestendola nei modi più eccentrici per attirare l’attenzione, non su di Lei, ma su sé stesso.
Mi mortifica chi in suo nome ostenta volgarità o più spesso cattiva educazione, sol perché in modo insperato e non certo per suoi meriti ha avuto il privilegio di uscire con Lei e frequentarla per qualche tempo.
Il mio amore di semplice figlio va al di là di tutto, anche quando vestitaLa da sportiva, dal mercante straniero di turno, gli è stato permesso di mortificarLa per poi lasciarLa sola, sedotta, abbandonata dai suoi stessi figli.
Non potrò mai mancarLe di rispetto ma pretendo educazione da chi sfrutta il suo nome e si lascia porte, con su targhette a vario titolo, chiuse tra sé e i figli di Lei.
Non potrò mai mancarLe di rispetto, non potrò mai disconoscerLa quando c’è di mezzo il Suo nome poiché passeranno i Suoi amanti, passeranno i Suoi sfruttatori, passeranno coloro che le hanno portato violenza, passerò purtroppo anche io, ma Lei resterà lì adagiata su queste spiagge e con i capelli bagnati dal mare sotto i riflessi dorati del sole, pronta per nuovi figli e nuovi amori.
Un abbraccio Epruno.