La mafia esiste e come tutti i fenomeni umani ha avuto inizio e avrà una fine. Giovanni Falcone lo ripeteva spesso, oggi continuano a sostenerlo con forza anche Salvatore Calleri e Renato Scalia della Fondazione Antonino Caponnetto, intitolata al capo del pool antimafia di cui facevano parte anche il magistrato ucciso nella Strage di Capaci e Paolo Borsellino.
Un po’ come John Woodrow Wilson, Calleri e Scalia, hanno steso dei punti programmatici che servono da linee guida per la rinascita, per capire e contrastare la criminalità organizzata che non alligna più nella povertà ma si insinua proprio negli ambienti più facoltosi. L’hanno fatto attraverso una lista di luoghi comuni da sfatare cui fanno da contraltare delle verità da accogliere come assiomi per una maggiore forza d’urto nel contrasto.
Dai dati della Fondazione emerge che il malaffare non è più una realtà circoscritta al Sud già da tanto tempo. Gli interessi mafiosi si sono estesi e sono molto ramificati anche nel settentrione d’Italia. Regioni come la Toscana, ad esempio, sono diventate in un certo qual modo una sorta di terra promessa per chi, con metodi intimidatori, estorsivi e corruttivi, ha allargato il suo raggio d’azione.
È anche vero che il Nord non è mai stato del tutto immune alla malavita organizzata, per anni hanno fatto da padrona la mafia del Brenta, del boss Felice Maniero, e i Marsigliesi che per lungo tempo si sono spartiti l’est e l’ovest d’Italia con teste di ponte del calibro di Francis Turatello, ucciso poi in carcere dal camorrista Pasquale Barra “o ‘nimale”.
Oggi, invece, è la mafia a estendersi su tutto il territorio nazionale e per distruggerla bisogna saperla riconoscere in tutti i suoi aspetti. I punti della Fondazione Caponnetto sono efficaci nella loro essenzialità.
1) La mafia non esiste. Oggi sembra impensabile ma fino alla metà degli anni Ottanta, i giudici erano impegnati a dimostrare il contrario. Fu con l’arresto di Tommaso Buscetta che si iniziò a parlare di Cupola e ad accettare le deduzioni dei magistrati.
2) La mafia se esiste è puramente un fenomeno criminale. Una visione semplicistica che porta a sottovalutare un devianza che invece investe anche i ‘piani alti’ della società.
3) Si ammazzano tra di loro, a noi non interessa. Invece, è proprio al termine di una conflitto mafioso che emerge poi un nuovo gruppo che diventa più forte e strutturato di prima.
4) Non si deve parlare di mafia perché si rovina la reputazione di un territorio. Mettere la testa sotto la sabbia per il buon nome di un territorio significa dare il via libera al malaffare.
5) Teoria dell’isola felice. Un teorema ancora molto diffuso al Nord che rispecchia l’atteggiamento qualunquista già espresso dal subvalore del concetto di ‘reputazione del territorio’.
6) La mafia nasce dalla povertà. Forse ai tempi del latifondo, oggi è vero l’esatto opposto.
7) Teoria della totale sconfitta dopo gli ultimi arresti. La mafia è un Ircocervo che si dilata e si espande, pronto a riorganizzarsi anche quando vengono tagliate teste eccellenti.
8) La mafia una volta era buona. Prepotenza e violenza non lo sono mai state.
9) Di mafia straniera non bisogna parlarne perché si rischia di fare razzismo. Così si corre il pericolo, ancora una volta, di sottovalutare un cancro ancora in embrione.
10) Non si fanno passi avanti. Non è così, in Italia la lotta si è molto inasprita: è sul piano europeo che occorre maggiore sinergia di forze, banche dati condivise e ampliare i raggi d’azione di Europol e Eurojust.
11) Ci prendiamo solo i soldi del riciclo dei mafiosi, tanto i mafiosi non arrivano. Non è vero, la criminalità si ramifica ovunque.
12) La mafia è invincibile. Falso, è un fenomeno come un altro e come tutte le manifestazioni umane ha un principio e una fine.
13) La mafia dà lavoro. Se così fosse, non si spiega il tasso di disoccupazione che alberga in alte percentuali soprattutto al Sud.
14) La mafia non spara più. Non è vero, sembra che l’epoca stragista sia finita ma la mafia usa ancora le armi.