Chi percorre l’autostrada da Palermo verso Catania o da Catania verso Palermo necessariamente riceve un pugno allo stomaco quando nei pressi di Termini Imerese vede i capannoni, le sbiadite torri della Sicilfiat, l’abbandono e il degrado in cui versa quell’area.
Quello che era stato il simbolo della rinascita della Sicilia, della sua industrializzazione, che aveva dato vita a un nucleo di classe operaia qualificato e combattivo, ad un indotto di qualità che aggiungeva tanti e nuovi posti di lavoro, oggi è simbolo dell’incapacità, dell’impotenza delle classi dirigenti che si sono succeduti, della cattiva volontà della politica che ancora una volta ha sacrificato una importante realtà del sud agli interessi del Nord.
Sono stati anni, dopo la chiusura, di attese, di speranze, di inganni, illusioni e soprattutto di delusioni.
Ricordiamo impegni e promesse, in particolare dei presidenti del consiglio che si sono succeduti nel corso di questi anni, ne citiamo solo alcuni per ragione di spazio.
Matteo Renzi, il 4 agosto del 2014, “faremo di tutto per riaprire Termini Imerese” e Luigi Di Maio qualche anno fa, quando era vice presidente del consiglio con Conte presidente: “Ci occuperemo di voi, tranquilli” e, in perfetto stile populista, allora molto in voga, invitò a cena venti operai senza incontrare i sindacati e il sindaco della città che protestarono non tanto per il mancato invito a cena ma per non averli voluti incontrare. In particolare il sindaco definì la venuta di Di Maio “una passarella elettorale, ma ci siamo abituati”.
Più sincero fu Roberto Cota, capogruppo alla Camera della Lega Nord, ,in quel momento al governo con i Cinque Stelle ( Salvini era con Di Maio l’altro vice presidente) che coerente con l’antimeridionalismo della Lega al giornale La Repubblica dichiarò: “Su Termini Imerese va detto che è una situazione figlia di una politica sbagliata che ha portato a costruire stabilimenti dove non dovevano essere costruiti, creando così cattedrali nel deserto” mostrando, però, una totale ignoranza e disinformazione dal momento che non eravamo in presenza di un deserto ma di una realtà con adeguate infrastrutture viarie e una moderna portualità.
La Fiat di Termini Imerese chiudeva non per scarsa produttività ma soltanto per un interesse dell’azienda che intendeva delocalizzare dove il costo del lavoro era più basso ma non tagliando al nord ma al sud, considerato ancora una volta una colonia.
Sono trascorsi più di dieci anni e si è andati avanti con cassa integrazione senza che ancora si intraveda una speranza, una possibilità di rilancio di quell’area.
L’area, nel frattempo, sta perdendo la sua identità industriale anche per responsabilità di una legge regionale del 2001 che consente agli insediamenti industriali e artigianali, beneficiari di un finanziamento pubblico, di insediarsi in aree di sviluppo industriale cambiando in seguito destinazione d’uso. E così, negli ultimi anni, sono aumentati a dismisura insediamenti commerciali che hanno soppiantato quelli industriali e la loro possibilità di insediarsi.,
Oggi sembra che il problema Termini Imerese sia stato rimosso, non interessi più nessuno, cancellato dall’agenda dei governi nazionale e regionale.
Si sono succeduti tre governi di diversi colori, gialloverde, Conte 1, giallorosso Conte 2 e governo arlecchino Draghi 1, hanno speso una parola su Termini Imerese. E i deputati e i senatori siciliani di tutti i partiti che dovrebbero portare in parlamento le istanze della Sicilia? Silenzio totale, neanche lo straccio di una interrogazione o di una interpellanza. E poi ci chiediamo perché la gente non va più a votare e non ha più fiducia nella politica e nelle istituzioni!
E i sindacati cosa aspettano a far diventare Termini Imerese una vertenza nazionale o si deve accettare come ha detto il ministro Giorgetti per la Pfizer che è una questione locale?
E Confindustria come pensa di riprendere il tema dello sviluppo se non partendo da Termini imerese? E poi sarebbe un modo anche per onorare la figura del suo illustre presidente quale fu Mimì La Cavera, poiché fu grazie al suo impegno e ai suoi buoni rapporti con Giovanni Agnelli la Fiat decise di investire in Sicilia.
Che fare? Dopo tante ipotesi di salvataggio, tutte fallite, fantasiose riconversioni in un parco giochi o in una italica Disneyland è possibile riaccendere l’interesse e la mobilitazione su Termini Imerese sull’ex stabilimento Fiat e l’intera area circostante recuperando la sua vocazione industriale attraverso un nuovo progetto di sviluppo.
La palla, come si suole dire passa alla Regione. È interessata a questo progetto? Se è così è tempo che presidente della regione, assessore alle attività produttive ripropongano la questione a Roma, il parlamento siciliano e il suo presidente per un momento tralascino i posti in commissione da assegnare e sostengano questa iniziativa e si chieda come regione siciliana un incontro con il presidente Draghi perché dimostri concretamente e non a parole che il suo governo punta sul sud per il rilancio del Paese.