Eccoci di nuovo a commemorare il giorno della strage di Capaci. Un giorno, per ogni siciliano, di inevitabili bilanci, meditazioni, domande senza risposte.
Noi giornalisti ci affanniamo a ricostruire da 25 anni, ogni anno come fosse il primo, nei minimi dettagli, quel 23 maggio 1992, per non perdere la memoria di una grande ingiustizia. Ogni anno in questa ricorrenza ci impegniamo a cercare spunti per sperare che un tentativo sincero e ideale come quello di Falcone, di affermare la giustizia, brutalmente punito, possa diventare finalmente per la Sicilia una storia a lieto fine con il prevalere di una legalità che quella morte servirebbe finalmente a riscattarla.
Ma l’ assassinio di Giovanni Falcone non era necessario per cambiare la Sicilia, è servito solo a deviare il corso di questa speranza. A deviare il tragitto dell’antimafia, che ha perso le sue caratteristiche di lotta ed è divenuta un sistema di spartizione di potere. Sì, a ridimensionare il ruolo della mafia nella coscienza pubblica e a deviare il corso di una violenza criminale che non si avverte più per le strade, perché non più interessata ad affermare il suo potere economico sul territorio, per aprirsi ai traffici internazionali. E’ proprio questo territorio che bisogna esplorare per comprendere dove sia finito lo spirito dell’ azione di Giovanni Falcone.
Dal 2014 l’ Unione Europea ha stabilito che nel prodotto interno lordo di un paese bisogna calcolare anche il fatturato del traffico di droga e della prostituzione, attività in mano alla mafia che da una parte è criminale, dall’ altra diventa una componente integrata dell’ economia degli stati europei. Questo fa pensare che sia in atto uno sdoganamento dell’ attività illegale, in senso inverso all’ azione di Falcone, che fa saltare i paradigmi culturali e fa diventare il frutto della corruzione una legittima componente economica, e dunque etica, dell’ UE. Basta andare a guardare le percentuali del Pil italiano per dare qualche risposta.
Vengono in mente le parole del procuratore generale della Repubblica Roberto Scarpinato quando afferma:“Mentre l economia criminale di cui fa parte l’economia mafiosa è avanti, la cultura giuridica è rimasta molto indietro. Il 416 bis, pensato per la mafia violenta non funziona più, le misure di prevenzione che prima aggredivano gli immobili, stanno perdendo terreno perché il ciclo edilizio si è esaurito e si investe nella speculazione finanziaria che è più redditizia nell’ economia reale”.
Percorsi mutati, ma di certo ampliati del crimine, dove qualcosa non si è compresa, dove il legislatore fa da mediatore di interessi, dove l’ antimafia del dopo Falcone, spiace constatarlo, ma al di là di poche eccezioni isolate e dunque impotenti, agisce pigramente e in autotutela e in giorni come questo, non rinuncia alla sfilata e ad indossare l’abito da cerimonia.