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Antonio Ingroia, ex magistrato oggi avvocato da sempre impegnato nella lotta alla mafia, è l’ospite della puntata numero 134 di Bar Sicilia. Tantissimi gli argomenti affrontati insieme al direttore responsabile de ilSicilia.it Manlio Melluso e con il direttore editoriale Maurizio Scaglione.
Innanzitutto il ripristino della scorta in virtù del suo lavoro contro la criminalità organizzata, sancito dalla giustizia amministrativa. Sull’argomento Ingroia è sferzante: “Per alcuni la scorta è veramente un privilegio ingiustificato – afferma –, è ricercato come status quo. Io oggi vivo prevalentemente a Roma e vedo tanti politici con la scorta. Il tema è che sono proprio le scorte inutili che spesso vengono riconosciute e le scorte indispensabili che vengono tagliate“.
Altro argomento caldo è la vicenda Bonafede-Di Matteo, che Ingroia racconta di avere vissuto in modo quasi diretto: “Di Matteo mi ha incontrato a Roma per un pranzo, poco tempo dopo questo sconcertante dietrofront del ministro Bonafede“. Quindi ripercorre: “Il ministro propone telefonicamente a Di Matteo di fare il capo del DAP, il dipartimento Amministrazione Penitenziaria, che gestisce tutte le carceri: un ruolo strategico importante. Nino Di Matteo, che tanto si è impegnato nella lotta alla mafia, sarebbe stato l’uomo giusto al posto giusto. C’era una seconda opzione, di fare il direttore degli Affari penali del ministero. Ma quel ruolo oggi non è lo stesso di quando lo ricopriva Falcone. Il ministro dice per telefono a Di Matteo: ‘Scelga lei’. Di Matteo chiede 24 ore di tempo per riflettere. Si vedono il giorno successivo e Bonafede aveva già scelto un altro magistrato per l’incarico al DAP, il dottore Basentini, che tra l’altro successivamente travolto dalle polemiche per le scarcerazioni di massa dei boss mafiosi si è dovuto dimettere. Di Matteo rimane di stucco quando Bonafede gli propone di andare agli Affari Penali e dice di no”.
Su cosa possa essere successo, Ingroia ha delle proprie convinzioni: “Qualcuno intervenne in quelle 24 ore e disse a Bonafede che Di Matteo al Dap non poteva andare – afferma – C’è stato un intervento dall’alto? Io sono di questa ipotesi, e potevano essere soltanto due gli interventi, o il Capo dello Stato o il Presidente del Consiglio, o il presidente Mattarella o il presidente Conte“.
Nelle ultime settimane Ingroia è finito nell’occhio del ciclone per una dichiarazione sulla reale natura del coronavirus e sul presunto ruolo della ‘Ndrangheta. A Bar Sicilia chiarisce la sua posizione: “Il mio era un ragionamento all’interno del quale è stata fatta una boutade. Ma andiamo per gradi. la domanda è: il lockdown favorisce obiettivamente le mafie? La mia risposta è sì. Purtroppo il lockdown sta determinando una delle crisi più spaventose, a livello globale, che sta mettendo a terra interi settori dell’economia. Il problema che hanno principalmente gli imprenditori, soprattutto i piccoli e medi imprenditori, e di liquidità. Una questione che gli stati nazionali non sono in grado di affrontare. Qual è l’Istituto finanziario che gode di una grande liquidità a livello mondiale? Purtroppo è la Mafia spa, che quindi può intervenire nei confronti di imprese e aziende che hanno l’acqua alla gola. Possiamo spingerci a dire che tutto questo era stato preordinato per favorire le mafie? Questa era certamente una boutade. Però rimangono ancora delle zone oscure sulle origini di questo virus“.
In passato, remoto e recente, Ingroia non ha disertato il campo delle elezioni, dalle nazionali alle amministrative. Una passione, la politica, che scorre nelle vene dell’ex pm : “Io sono appassionato di politica, ma di politica con la P maiuscola – afferma – Il problema è che la scena è dominata, ormai da qualche decennio, dalla politica con la p minuscola. Al punto che soffriamo di nostalgia per la Prima Repubblica, fatta di grandi contrasti ma anche di grandi ideali. Oggi è la politica dei mediocri. La politica è il luogo chiave per sognare un mondo diverso. E io sogni un mondo diverso, per questo continuo a fare politica. La gente non crede più nella politica anche se avrebbe bisogno di sognare. Dobbiamo lavorare, fare un’opera di ricostruzione, di avere fiducia, anche in se stessi”.
Infine, una risposta che non lascia margine di interpretazione alla domanda ‘Cosa non rifarebbe?’ “Mi considero un lottatore – dice Ingroia –, un uomo che lotta può vincere o no, ma uno che non lotta ha sempre perso“.