Quando domani Gianfranco Miccichè incontrerà Silvio Berlusconi probabilmente non ci sarà più bisogno di toccare l’argomento riguardante l’ipotesi di adesione o meno al progetto di Fabrizio Ferrandelli da parte di Forza Italia. A stretto giro di comunicati serali, Ferrandelli e Miccichè si sono salutati elegantemente. Il primo ha dichiarato, un po’ nervosamente ma in maniera comprensibile per il perdurare dell’argomento in campo, di non essere il candidato di Miccichè e di non essere interessato a un progetto politico caratterizzato dai partiti. Il secondo ha replicato in maniera secca ma onesta: “Ferrandelli ha ragione, non mi ha mai chiesto di essere il mio candidato, né gliel’ho mai chiesto io. È normale che la sua candidatura entri nei dibattiti della politica cittadina, tutto qua. Gli auguro comunque un gran bene, è una brava persona e gode della mia stima”. Strade separate dunque? Tutto da vedere. Nonostante tutto. Non è un mistero che dentro Forza Italia il “partito di Fabrizio” gode della sua bella fetta di consenso. Rimane solo da sfogliare la margherita.
Un peccato non andare con il simbolo secondo qualcuno perché il 10% di cui viene accreditato il partito del Cavaliere a Palermo, poteva essere un valore importante da sommare al montante di Ferrandelli. Quel che non si è voluto capire in questa storia, e non per colpa di Ferrandelli, è che l’antinomia tra corpo civico e squadra dei partiti, non è superabile. Se Ferrandelli derogasse a qualche eccezione l’ironia si catapulterebbe a partire dai social trasformandosi in un pericoloso boomerang.
Il problema è fondamentalmente di Miccichè che è consapevole di dovere portare una soluzione e non un problema da risolvere a Berlusconi. Ha avuto un lasso di tempo ragionevole ma non ha voluto investire su soluzioni “pesanti” (la nomination a Saverio Romano) e adesso lotta contro il tempo, dovendo portare a casa comunque un risultato.
Forza Italia inoltre rischia lo svuotamento dall’interno. Fenomeno analogo si vive nel contenitore cuffariano, ma con minor dramma di perentorietà rispetto alla visibilità dei simboli. In entrambi i casi comunque il passaggio successivo, e per certi aspetti imminente, potrebbe essere quello di una partecipazione alle liste di Ferrandelli in cui singolarmente andrebbero a confluire pezzi di grandi e medi elettori di centro destra. Ognuno con il suo pacchetto di voti, alla ricerca del piazzamento utile.
Per ottenere il 5 % richiesto dallo sbarramento occorrono pur sempre tra 16mila e 17mila voti di lista, con una media di 400 voti a candidato. Non è un mistero quindi che, tanto Ferrandelli, quanto gli altri esponenti di liste fai da te controlleranno posizionamenti e dosaggi di forze, nella consapevolezza che la puntata secca è quella del primo turno in cui si elegge il consiglio comunale. Il rompicapo torna dunque tutto dalla parte di Miccichè che deve gestire contemporaneamente la vicenda delle primarie delle regionali su cui Pogliese ha scatenato la battaglia. Nei giorni scorsi i responsabili palermitani di Fratelli d’Italia e Noi con Salvini si sono trovati d’accordo sull’ipotesi di dare un nome a Forza Italia per la sindacatura, ma le premesse di ottimismo che lo stesso Miccichè ripone sull’argomento non sembrano moltissime.
Uno dei volti di cui si attende di conoscere le mosse è quello di Marianna Caronia, al momento in silente attesa, ma che potrebbe sciogliere le riserve a favore dello stesso Ferrandelli. Caronia, un po’ come i pezzi di centro destra che andrebbero ad incastrarsi nello scacchiere di Ferrandelli, risponde all’esigenza di radicamento su Palermo che fa da volano al progetto de I Coraggiosi, generando il moltiplicatore da cui poi uscirebbe il risultato tra società civile e partiti. A quel punto ridotti a unica sintesi.