I dati sono lampanti e incontrovertibili, la Sicilia è ancora oggi assediata dalla forte piaga dell’abusivismo edilizio che tiene in ostaggio lo sviluppo del territorio.
Parliamo di un fenomeno che negli ultimi anni, nonostante la crisi edilizia e quella pandemica, si mantiene su livelli molto preoccupanti e addirittura si trova sempre di più in continua crescita.
Lo confermano i numeri dei reati e degli illeciti amministrativi che emergono dalle cartelle delle Forze dell’Ordine che Legambiente elabora e denuncia ogni anno. Una certificazione in più è quella che viene fuori dalla categoria di dossier “Abbatti l’abuso. I numeri delle mancate demolizioni nei Comuni italiani”. L’ultimo rapporto sul “Benessere Equo e Sostenibile” dell’Istat, secondo le stime elaborate in collaborazione con il Cresme, segnala un incremento nel 2022 del 9,1% delle case abusive, con una crescita che non si registrava dal 2004. La situazione nelle regioni del Sud viene definita come “insostenibile”, con 42,1 abitazioni costruite illegalmente ogni 100 realizzate nel rispetto delle regole.
In Sicilia però si preferisce la strada del condono. A dimostrarlo è stato il primo sì della Commissione Ambiente e Territorio dell’Assemblea Regionale che prevede di sanare gli abusi edilizi commessi entro la fascia di 150 metri dal mare di quelle abitazioni costruite fra il 1976 e il 1985. Un disegno di legge che però ha trovato molte opposizioni. La legge regionale del ’76, nata per bloccare la cementificazione delle spiagge che aveva già distrutto tratti importanti della costa palermitana e trapanese, ha superato indenne numerosi tentativi di modifica, attuati proprio allo scopo di sanare gli oltre 50 mila abusi insanabili costruiti negli ultimi 40 anni sulle coste. Infatti, in una prima fase viene interpretata come valida, dal ’91 in poi invece viene aggiunta una norma che vincolava anche i singoli costruttori. Ad oggi solo il 0,30% del costruito, ritenuto abusivo, è stato rimosso e i Comuni per non abolirli fanno ordinanze di acquisizione in modo tale che le strutture restino così abbandonate, in piedi, deturpando in ugual misura le coste. Al nuovo abusivismo, infatti, si somma quello vecchio, che non è rientrato nelle sanatorie dei tre condoni edilizi e deve essere, quindi, necessariamente abbattuto.
Legambiente non è d’accordo e ricorda che la Sicilia è una delle regioni dove il cemento abusivo dilaga. Più che le variazioni congiunturali, a preoccupare è una lunga persistenza del fenomeno sicuramente significativo. In un periodo in cui gli eventi calamitosi, come alluvioni e frane, sono sempre più frequenti, e che stanno mettendo in discussione il “diritto” alla casa abusiva, la nostra Isola è tra quelle che figurano stabilmente nelle prime posizioni della classifica sull’illegalità ambientale.
Nei comuni costieri presi in esame, il rapporto di demolizione ad oggi eseguite e quelle effettivamente emesse è del 19%. Per quanto riguarda la trascrizione degli immobili abusivi nel patrimonio del Comune, ulteriore ed efficace deterrente a disposizione delle amministrazioni locali, i numeri sono estremamente preoccupanti, i Comuni non trascrivono l’avvenuta acquisizione degli abusi non demoliti.
Per risolvere il problema dell’inerzia di troppi Comuni, nell’estate del 2020, Legambiente ha proposto una norma, approvata nella legge 120/20202 che ha stabilito il trasferimento allo Stato, nella figura dei Prefetti, della responsabilità delle demolizioni in caso di inerzia. Una modifica alla legge precedente, che avrebbe consentito di mettere mano a tutti i manufatti illegali. Il provvedimento avrebbe avuto il merito di sollevare i sindaci da un onere, pochi mesi dopo l’entrata in vigore della norma, un’improvvida circolare del ministero dell’Interno, inviata a tutte le sedi prefettizie italiane, ne ha bloccato l’applicazione, restringendola solo agli abusi edilizi accertati dopo l’entrata in vigore della legge e “salvando” così decine di migliaia di vecchi manufatti illegali.
Legambiente chiede in merito che venga ripristinata la ratio della legge, così come voluta dal Parlamento, perché non vi siano interpretazioni contraddittorie rispetto alla chiara volontà del legislatore di affrontare il problema di decenni di mancate demolizioni. “Un qualsiasi tentennamento su questo fronte alimenterebbe l’idea che nemmeno lo Stato voglia davvero cancellare le tracce dello scempio edilizio che ha devastato il nostro Paese. Una percezione del genere da parte dei cittadini, dal punto di vista della cultura della legalità e delle istituzioni, avrebbe un effetto pari, se non più grave, dell’impatto concreto dell’abusivismo sull’ambiente e sull’economia”. Il compito principale di intervento resta, di fatto, in capo ai Comuni che possono attingere al Fondo demolizioni opere abusive (Fdoa), un fondo di rotazione istituito nel 2003 presso la Cassa depositi e prestiti, o al Fondo demolizioni presso il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che nel 2023 è stato rifinanziato con un contributo di 2.2 milioni di euro. Una somma però troppo esigua per fronteggiare i costi di migliaia di demolizioni.
Per quanto riguarda le ordinanze emerse, il dato della Sicilia deriva dall’alta percentuale di risposta dei Comuni di sei province siciliane che si piazzano nei primi sei posti della classifica generale elaborata su scala provinciale: Trapani, infatti, svetta con il 52% dei Comuni, Palermo raggiunge il 50%, Catania il 46,6%, Enna il 40%, Agrigento il 39,5% e Ragusa il 33,3%. Il risultato più significativo, per numero complessivo di abbattimenti, è quello del Comune di Lipari (Me), con 538 demolizioni.
In generale, il numero di trascrizioni degli immobili abusivi da parte dei Comuni è basso se non addirittura inesistente. Infatti, nonostante le prescrizioni di legge, la procedura, che prevede l’acquisizione automatica al patrimonio comunale delle opere e dell’area di sedime non viene quasi mai avviata. In particolare, i Comuni non procedono con le trascrizioni nonostante l’accertamento della mancata demolizione costituisca pieno titolo per il passaggio di proprietà e per la successiva trascrizione nei registri immobiliari. Non vi sono particolari sanzioni, se non per qualche sporadico caso. in cui la Corte dei conti ha calcolato e addebitato al Comune il danno erariale dovuto alla mancata acquisizione o all’occupazione illegale da parte degli ex proprietari.
Quindi, una situazione drammatica. Da anni, Legambiente sostiene la necessità di non procrastinare un intervento nazionale e risolutivo che permetta di archiviare una volta per tutte questa vergognosa pagina della storia del nostro territorio, che tiene ancora banco nelle vicende giudiziarie e sulle cronache di stampa. “Da parte nostra, crediamo che debba essere mantenuta alta l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica, convinti che non esista transizione ecologica senza legalità, anche dal punto di vista del risanamento dei territori feriti“.