Condividi
L'intervista

Accanto ai bambini inguaribili: il lavoro invisibile della Samot nelle cure palliative pediatriche CLICCA PER IL VIDEO

mercoledì 22 Ottobre 2025

Le cure palliative pediatriche non parlano di fine ma di vita, di dignità e di cura, di sostegno ai bambini e alle famiglie che affrontano la fragilità della malattia. Dietro questa parola, troppo spesso fraintesa, c’è una medicina che non rinuncia mai alla relazione, che accompagna con competenza e umanità ogni fase del percorso.

In Italia, il diritto alle cure palliative è garantito dalla Legge n. 38 del 15 marzo 2010, che assicura a tutti i cittadini, adulti e bambini, l’accesso gratuito alla terapia del dolore e all’assistenza palliativa. Una legge considerata tra le più avanzate d’Europa, ma che ancora oggi fatica a tradursi in realtà, soprattutto sul fronte pediatrico.

Secondo il Ministero della Salute, ogni anno circa 35.000 minori nel nostro Paese avrebbero bisogno di cure palliative pediatriche. Tuttavia, solo una parte riceve effettivamente assistenza adeguata e multidisciplinare. Le differenze territoriali restano marcate: al Sud, e in particolare in Sicilia, la rete regionale è ancora in fase di consolidamento, nonostante l’istituzione formale con il Decreto Assessoriale n. 2060 del 2016 e le linee di indirizzo del Piano Regionale Cure Palliative e Terapia del Dolore 2022–2025.

In Sicilia, un gruppo di professionisti porta avanti ogni giorno questo impegno silenzioso all’interno della Samot Onlus, realtà che da anni assiste i piccoli pazienti e le loro famiglie nel percorso più difficile. Tra loro c’è il dottor Teo Pinto, medico palliativista specializzato in cure palliative pediatriche, che ogni giorno incontra la fragilità con la forza discreta della cura.

Dottor Pinto, oggi ancora si parla poco di cure palliative pediatriche. Perché è un tema così “scomodo”?

“Sicuramente è un tema scomodo e pesante. Non è facile accettare una malattia inguaribile, spesso a prognosi infausta, soprattutto quando riguarda un bambino. Bisogna considerare che quasi il 50% degli italiani non ha idea di cosa siano le cure palliative pediatriche. E tra chi ne ha sentito parlare, spesso c’è una percezione distorta. C’è chi le associa solo alla fine della vita, mentre in realtà parliamo di un percorso di cura che accompagna il bambino e la famiglia fin dal momento della diagnosi, per migliorare la qualità della vita, alleviare la sofferenza e offrire supporto globale”.

Cosa differenzia le cure palliative pediatriche da quelle rivolte agli adulti?

“Le differenze sono molte. Innanzitutto, le patologie. Negli adulti seguiamo prevalentemente pazienti oncologici, anche se non esclusivamente. Nei bambini invece la situazione è opposta: circa l’80-85% dei casi riguarda malattie non oncologiche — patologie neurologiche, cardiologiche, genetiche, sindromi rare, cromosomiche, metaboliche — mentre solo il 15-20% riguarda tumori. Un’altra grande differenza riguarda la durata delle cure palliative. Negli adulti la media è di tre o quattro mesi; nei bambini e negli adolescenti arriva a circa 44 mesi, quindi quasi quattro anni. Ma ci sono anche situazioni in cui il percorso può durare dieci o dodici anni. In quei casi dobbiamo programmare la transizione verso le cure palliative dell’adulto, perché i pazienti crescono e cambiano con il tempo. Infine, c’è la questione della diagnosi. Nelle cure palliative pediatriche la presa in carico avviene subito, nel momento stesso in cui viene fatta la diagnosi di malattia inguaribile. Negli adulti, invece, l’intervento arriva spesso in una fase molto avanzata. E poi ci sono i bisogni assistenziali: sono bambini con bisogni complessi, molti di loro respirano con un ventilatore, si nutrono tramite una via endovenosa o enterale, sono portatori di PEG o gastrostomia. Inoltre sono in fase di crescita, quindi cambiano fisicamente e psicologicamente. Anche la loro capacità di comprendere la malattia evolve nel tempo, e questo rende tutto più delicato”.

Qual è la sfida più grande, dal punto di vista umano e professionale, per chi accompagna un bambino in questo percorso?

“Direi che la sfida più grande è emotiva e psicologica. Bisogna saper comprendere e gestire le emozioni del bambino e dei genitori. La comunicazione diventa centrale: deve essere chiara, leale, empatica. E non deve essere rivolta solo ai genitori, ma anche al piccolo paziente, naturalmente adattandola alla sua capacità di comprensione. Solo una comunicazione efficace permette di costruire una vera alleanza terapeutica tra il medico, il bambino e la famiglia. Senza questa fiducia reciproca, le cure palliative non possono funzionare davvero”.

Quanto è importante il lavoro di équipe nelle cure palliative pediatriche?

“È fondamentale. Le cure palliative pediatriche sono complesse e non possono essere gestite solo da un medico o da un infermiere. Servono molte figure professionali che lavorino insieme in modo coordinato. Nell’équipe ci sono il medico palliativista, l’infermiere, lo psicologo, l’assistente sociale, il logopedista, il dietista, gli operatori socio-sanitari, il fisioterapista e — visto che parliamo di età evolutiva — anche la terapista della neuropsicomotricità. È essenziale anche la collaborazione con il pediatra di libera scelta e con i medici del territorio, perché la comunicazione tra tutti i professionisti è parte integrante della cura”.

C’è un’esperienza che l’ha segnata particolarmente nel suo percorso professionale?

“Direi che tutte le assistenze lasciano qualcosa. Ogni bambino, ogni famiglia, ti segna. Ricordo in particolare un ragazzo di 16 anni, con una malattia oncologica in fase terminale. Era consapevole della sua diagnosi e anche della sua prognosi. Mi chiese di parlare da solo, senza la madre, per concordare insieme cosa fare se i sintomi fossero diventati insopportabili. Aveva paura, ma non della morte. La sua paura era la sofferenza. Con lui, e poi con i genitori, abbiamo definito un piano condiviso di cure, spiegando che, in caso di sintomi non controllabili, si poteva ricorrere alla sedazione palliativa per garantirgli serenità e sollievo. È stata un’esperienza forte. Mi ha ricordato che spesso la paura più grande non è la fine, ma il dolore. E che la fiducia tra medico e paziente è la vera cura”.

Che messaggio vuole lanciare alle famiglie che stanno vivendo questa esperienza con i loro bambini?

“Voglio dire loro che non sono sole. Le cure palliative pediatriche offrono un supporto costante, 24 ore su 24. Il nostro compito è permettere ai genitori di continuare a essere mamma e papà, non solo caregiver del proprio figlio. Molti genitori passano anche otto o nove ore al giorno nell’assistenza quotidiana del bambino. Con il nostro supporto possono ritrovare un po’ di tempo, di respiro, di normalità. È un messaggio di speranza: perché anche quando sembra che non ci sia più nulla da fare, c’è ancora molto da fare. C’è sempre qualcosa che possiamo fare per alleviare la sofferenza, per sostenere, per accompagnare. E questo è il senso più profondo delle cure palliative pediatriche”.

Questo articolo fa parte delle categorie:
Condividi
BarSicilia

Bar Sicilia, al Castello di Taormina con l’assessore Amata: “Destagionalizzazione e delocalizzazione fondamentali per il turismo, la sinergia con i portatori di interesse non deve mancare” CLICCA PER IL VIDEO

Ospite della puntata n.336, condotta da Maria Calabrese e Maurizio Scaglione, è l’assessore regionale al Turismo, Sport e Spettacolo Elvira Amata.

La Buona Salute

La Buona Salute 63° puntata: Ortopedia oncologica

La 63^ puntata de La Buona Salute è dedicata all’oncologia ortopedica. Abbiamo visitato l’Ospedale Giglio di Cefalù, oggi punto di riferimento nazionale

Oltre il Castello

Castelli di Sicilia: 19 ‘mini guide’ per la sfida del turismo di prossimità CLICCA PER IL VIDEO

Vi abbiamo accompagnato tra le stanze di 19 splendidi Castelli di Sicilia alla scoperta delle bellezze dei territori siciliani. Un viaggio indimenticabile attraverso la storia, la cultura, l’enogastronomia e l’economia locale, raccontata dai protagonisti di queste realtà straordinarie.

ilSicilia.it