La Polizia ha eseguito due ordinanze di custodia cautelare emesse dal Gip nei confronti di quattro persone – tre agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico e uno con obbligo di dimora e di firma – e dal Gip presso il Tribunale per i minorenni nei confronti di altri tre indagati per cui è stato disposto il collocamento in comunità.
Sarebbero responsabili di un’aggressione omofoba ai danni di sei maggiorenni e di una rapina a un negozio.
Il gip Ermelinda Marfia ha disposto i domiciliari per Ivan Viglia, 19 anni, Enrico Alex Massei e Gabriele Marsiglia, entrambi diciottenni. Obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e obbligo di dimora a Palermo per Joseph Lucera, 21 anni. Sarebbero i responsabili dell’aggressione omofoba avvenuta il 20 gennaio di quest’anno ai danni di un gruppo di amici che dopo avere trascorso la serata in un ristorante a Palermo stavano chiacchierando in via Ruggero Settimo. Prima le percosse poi le frasi offensive si sarebbe aggiunta la minaccia: “Se chiamate la polizia vi sparo in bocca“. Il gip parla di “rabbioso assalto” e “spregio per le regole della convivenza civile”. Qualche ora dopo l’aggressione avrebbero commesso una rapina ai danni di un extracomunitario che gestisce un piccolo market. Volevano comprare una bottiglia di amaro. Il titolare chiese di mostrare i documenti per controllare la loro età. “Pagati 15 euro altrimenti ti sparo in bocca”, fu la prima risposta. La seconda sarebbe stata ancora più minacciosa: “Ridammi i 20 euro, non ti pago, se non mi dai i 20 euro ti sparo”, dissero prima di fuggire via senza pagare.
I provvedimenti nascono da un’indagine avviata lo scorso 20 gennaio, quando un gruppo di giovani venne aggredito e insultato con frasi omofobe. Le vittime vennero prese a calci e pugni e minacciate. “Se chiamate la polizia vi spariamo in bocca“, dissero gli aggressori.
I ragazzi subirono lesioni con una prognosi di quattro giorni. Dopo poco il gruppo rapinò un negozio in via Roma. Ai responsabili si è arrivati grazie alle immagini estrapolate dai sistemi di video sorveglianza piazzate nei luoghi dell’aggressione. Le identificazioni sono state riscontrate dai riconoscimenti fotografici fatti dalle vittime grazie ai profili social degli indagati.