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La misura

Arriva l’aumento per le mamme in carriera, ma lavoro e maternità non camminano ancora sullo stesso binario

mercoledì 31 Gennaio 2024

Attenzione verso la valorizzazione della figura femminile o semplice spot politico?

Lascia più di qualche dubbio la misura del Governo nazionale che prevede un aumento di stipendio per le lavoratrici madri. La norma è stata presentata come una tra le tante iniziative trascritte nero su bianco all’interno della manovra per incentivare la natalità, tema tanto a cuore a Meloni quanto ingarbugliato e complesso.

Tra sogno a ostacolo. Nel corso degli anni sono molte le donne che hanno cambiato visione sul concetto di maternità, invertendo così le priorità: più attenzione a se stesse, ai propri traguardi e il proprio futuro. Tutti aspetti però che non camminano di pari passo con la voglia di mettere al mondo dei figli, smorzata o persino demolita da parametri e richieste spesso discriminatori. Risollevare il tasso delle nascite, in un paese in cui la discrepanza tra giovani e vecchi è segnata da un divario sempre più ampio, è una sfida aperta e che passa attraverso l’inclusione sociale e l’individuazioni di nuovi campi nel mercato del lavoro, dove trovare un proprio spazio, soprattutto se si è mamme, non è facile.

Ma cosa prevede il nuovo bonus? Intanto si tratta di una decontribuzione e dunque tale aumento deriverà dall’esonero del pagamento dei contributi a carico del lavoratore, che sarà 9,19% del reddito imponibile ai fini previdenziali, cioè al lordo di tasse e contributi. L’esonero contributivo, inoltre, è abbinato a quello già esistente per i redditi inferiori a 35 mila euro che riguarda tutti i lavoratori, pari a 6% o al 7% del reddito imponibile. Nessun limite per quanto riguarda il reddito mentre è stato previsto un tetto massimo pari a 250 euro al mese, circa 3.000 euro l’anno. L’incremento sarà riservato solo alle lavoratrici madri assunte a tempo indeterminato, sia nel settore privato sia pubblico, e sarà valido fino al 2024 per chi ha due figli e fino al 2026 per chi ne ha almeno tre. Escluse dal range: dipendenti con contratti a tempo determinato, libere professioniste, autonome, lavoratrici domestiche e tutte le lavoratrici senza o con un figlio unico.

Limiti stringenti che rimpiccioliscono notevolmente la cerchia dei coinvolti, che si attesterebbe intono al 6%. Resta così un’incognita il reale impatto che la misura potrà apportare. C’è chi non ha dubbi: Non è adeguata per affrontare compiutamente la questione della natalità. A sostenerlo è Elvira Morana, di Cgil Sicilia, che sottolinea come a mancare sia una visione strutturale e un ragionamento più ampio che non riguardi solo la donna ma veda al centro il tema della genitorialità.

La donna – aggiunge Morana – deve essere messa nelle condizioni di lavorare e coadiuvare l’aspetto economico-sociale, oltre che della natalità. Osservando per esempio i dati della Svezia, gli studi dimostrano come la donna che lavora agevoli anche il percorso della natalità. E’ una questione che andrebbe affrontata in maniera strategica e adeguata, se fatto solo sul piano donna-maternità quel salto non accadrà mai. E’ un’impostazione negativa che, al di là di alcune agevolazioni, non supera il gap esistente“.

Sulla stessa falsa riga, la legge di bilancio prevede anche altre misure come: l’introduzione di un mese in più di congedo parentale, utilizzabile sia dalla madre che dal padre entro il sesto anno di vita del figlio, e retributivo all’80%; un aumento tra 600 e 1100 euro del bonus annuale per pagare l’iscrizioni ad asili nido pubblici e privati; l’estensione della garanzia pubblica per i mutui sulla prima casa alle famiglie numerose.

Da oltre dieci anni – prosegue – il tasso di natalità è in diminuzione. Dal punto di vista dell’analisi regionale non c’è mai stata una reale attenzione. Qualcosa si sta muovendo con l’istituzione dell’Osservatorio sulla famiglia ma anche lì c’è il rischio di sbagliare“. A destare qualche perplessità è la linea “poco contemporanea e l’aver dimenticato per strada l’esistenza di disuguaglianze concrete tra i territori.Abbiamo già avuto due incontri e i primi passi sono concentrati nel dare attuazione ad alcune misure previste da una legge del 2003, ma da allora la questione “famiglia” è totalmente cambiata. Altra proposta avanzata è stata quella di mette in campo le stesse misure adottate in Trentino, come “Comuni amici della famiglia”. Il tutto è in itinere ma è chiaro che sia impensabile poter ragionare su simili iniziative, considerando le diversità con il territorio siciliano“.

L’appello dunque è anche rivolto alla Regione.Vorremmo – conclude Morana – che anche a livello regionale si ragionasse a 360 gradi. Quando è entrato in vigore il Pnrr abbiamo chiesto al governo regionale di definire un’agenda per le donne, cercando di cogliere tutte le sfaccettature. A oggi, mentre tutte le Regioni si sono appropriate di una strategia per le questioni di genere, qui ancora non c’è“.

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