Esportare giovani medici e importare operatori sanitari stranieri. E’ questo il paradosso della sanità siciliana.
Per sopperire le emergenze e i critici vuoti nelle aree di Medicina d’emergenza e urgenza, Anestesia e rianimazione, Chirurgia generale, Medicina interna, Gastroenterologia, Ortopedia e traumatologia, Pediatria, Neurologia con stroke unit, Cardiologia, Ostetricia e ginecologia, Psichiatria e Urologia l’assessorato regionale alla Salute ha trovato, almeno per il momento, una soluzione con la pubblicazione di un avviso pubblico “aperto” rivolto ai medici sia di Paesi dell’Unione europea sia di provenienza extracomunitaria. Una mossa necessaria nella corsa contro il tempo con il fabbisogno di personale che ammonta a 1.494 unità. Ma una soluzione alternativa, cercando di valorizzare le fresche risorse che la Sicilia forma e offre, esiste?
Il fenomeno, che riguarda da vicino l’Isola così come tutta la Penisola, non è passato certamente inosservato e con una nota il segretario nazionale della Ugl Salute, Gianluca Giuliano, ha evidenziato come “mentre i professionisti italiani guardano con sempre maggiore attenzione alla possibilità di emigrare si palesano da noi le criticità nell’ utilizzo di medici ed infermieri stranieri. Il loro inserimento, per quanto riguarda comprensione della lingua e protocolli da seguire, non è automatico come qualche inguaribile ottimista poteva pensare. Così – dichiara – già in sotto numero per la cronica carenza degli organici, molti operatori italiani devono dividersi tra espletamento della professione e il tutoraggio dei nuovi arrivati, sottraendo tempo ed energia ad un’assistenza già ridotta al lumicino“. La colpa non ricade certamente sui professionisti stranieri ma su “una sanità dove le soluzioni tampone e l’assenza di programmazione sono all’ordine del giorno, producendo solo l’allargamento della falla del nostro Ssn“.
Se temi come quelli degli stipendi, dei turni e della sicurezza sul lavoro sono all’ordine del giorno, a emergere nell’ultimo periodo è stato il brusco calo di iscritti ai corsi di laurea delle professioni sanitarie. In Sicilia il dato di quest’anno sui partecipanti ai test è sceso vertiginosamente del 10,4%. Insomma l’Università sembra aver perso parte della sua capacità attrattiva e non riuscire a plasmare le nuove leve potrebbe rivelarsi ben presto fatale, giungendo inevitabilmente al rischio della desertificazione della sanità. “I corsi di laurea in professioni sanitarie – aggiunge Giuliano – sono snobbati dai giovani, tanti operatori italiani preferiscono guardare all’estero e si profila un futuro dove ai pensionamenti di chi oggi è in organico non si potrà far fronte. Il baratro è ad un passo e se non si interverrà con soluzioni immediate che passino dal livellamento verso l’alto, in linea con la media Europea, degli emolumenti a garanzie di sicurezza sui luoghi di lavoro, la grande fuga non conoscerà sosta“.