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La Galleria Giovanni Bonelli, una delle più importanti di Milano, riapre con “Astratta”. Una duplice personale di due grandi artisti siciliani.
Dopo l’emergenza Coronavirus, infatti, i protagonisti della prima esposizione post emergenza sono Alessandro Bazan e Fulvio Di Piazza. Due degli esponenti della corrente contemporanea denominata “Scuola di Palermo”.
L’idea di “Astratta” è nata da Marco Senaldi, curatore e teorico d’arte contemporanea, che, nelle opere dei due artisti, ha visualizzato quello che è accaduto in questo esatto momento storico.
Perché Milano?
“Abbiamo scelto di esporre a Milano perché collaboriamo seppur in maniera discontinua con la Galleria Bonelli sin dal 2004. Giovanni Bonelli ci ha proposto una doppia personale dopo la sua ultima visita al nostro studio. Dal 2016 io e Bazan condividiamo uno spazio di 300 mq in via Libertà.
Abbiamo deciso di condividere lo stesso spazio, a distanza di 15 anni, come quello di via Gemmellaro con Andrea Di Marco. Questa mostra è figlia di questo ritrovato sodalizio”, spiega Fulvio Di Piazza.
“A Palermo non ci chiama nessuno e le occasioni di esporre sono ben poche data la scarsità di gallerie.
In questa città c’è molto desiderio di arte e cultura ma non può essere soddisfatto perché a parte i privati che fanno quello che possono, le istituzioni e la politica sono troppo spesso impegnate a intascare denaro per progetti totalmente inutili. Milano è un altro mondo, le gallerie funzionano, c’è il mercato e i politici trovano altri mezzi per arricchirsi con i soldi pubblici”, aggiunge Alessandro Bazan.
Perché ora?
“Esporre a ridosso della quarantena è un salto nel buio, una grossa scommessa – dice Di Piazza -. Volevamo dare un segnale chiaro, che la creatività non si ferma e che investire sulla cultura è fondamentale per ricostruire un paese ridotto in brandelli. Ora ci aspettiamo che gli altri facciano la loro parte”.
“La nostra mostra vale come un minuto di silenzio data la tragedia. Sono contento che non vi sia stata alcuna inaugurazione perché in questo momento c’è poco da festeggiare, data la quantità di morti che ci sono stati in questi ultimi mesi”, evidenzia Bazan”.
“Marco Senaldi (il curatore ndr.) ha visto, nei quadri, una certa attinenza col momento storico che stiamo vivendo – spiega l’artista – . Io penso che però questa sensazione pervenga dal fatto che io e Di Piazza abbiamo sempre evitato l’eccessiva didascalicità che a volte affligge molta pittura contemporanea, in quanto toglie mistero e smalto alla buona arte che più che internazionale deve riuscire, ben oltre, ad essere universale, anche perché questo “internazionalismo” di cui si parla tanto è una assoluta bugia e ipocrisia, come dicono i fatti che si potevano ravvisare anche prima del covid.”
La mostra
Il titolo della duplice personale trae il proprio significato dal termine latino ‘abstractus’, ovvero ‘trarre fuori’, ‘distaccare’, e invita i visitatori a seguire i due autori in un altro piano della realtà, diverso da quello che si è abituati a vedere. Una esperienza di sospensione fluttuante tra astrazione, surrealismo e psichedelia.
Infatti, nelle opere esposte di Alessandro Bazan l’elemento da cui partire è la realtà e, nello specifico, “l’uomo”, che viene raffigurato in una serie di atteggiamenti che ne indagano usi e comportamenti.
“L’astrazione – spiega il curatore – è un effetto dello sguardo dove quello che vediamo è l’inquadratura trascendentale di ciò che il pittore ha rappresentato”.
La realtà di Fulvio di Piazza, invece, è qualcosa a cui si rimanda in maniera allegorica utilizzando una serie di figure immaginifiche tipiche del suo repertorio. Infatti “le immagini raffigurate sono illusioni – evidenzia Senaldi – . Non appena ci accostiamo alla superficie dipinta le figure esplodono in piccole pennellate e dettagli improbabili che, in un caleidoscopio di colori, mettono a repentaglio la comprensione di ciò che stiamo vedendo”.
“Il titolo “Astratta” – spiega Bazan –, è stato scelto proprio per far leva sulla questione dell’astrazione che accomuna il mio lavoro con quello di Fulvio, sebbene tutti ci abbiano sempre considerato solo figurativi. Per me e Fulvio, nulla di quello che si vede nei dipinti esiste, sono solo proiezioni delle nostre limitate menti, tentativi di invenzioni di mondi”.
Gli inediti
In alcune delle opere esposte, però, sembrerebbe che i due artisti abbiano anticipato quello che abbiamo vissuto negli ultimi mesi, come ad esempio nei due inediti di Bazan e nell’immensa opera di 4 metri di Di Piazza.
Infatti in “Volare” la visione di una città dall’alto di un balcone, o dalla finestra di un grattacielo non è più lo sfondo del quadro, bensì il soggetto principale. Gli uomini e le donne che fluttuano leggeri al di sopra di palazzi e strade “rimandano a un bisogno primario di ritrovata libertà da parte dell’uomo”, spiega Bazan.
In “Wait” le persone ritratte si trovano in un orizzonte completamente deserto e privo di riferimenti dove gli uomini si orientano a loro modo in un contesto nel quale la natura è completamente assente.
Il manifesto di Di Piazza, “Guerrilla”, invece “è un quadro profetico, un quadro epocale – spiega il pittore –. Ho investito due anni su questa opera, volevo rappresentare il mood contemporaneo. Una dimensione conflittuale dove tutti combattono contro tutti, ma è anche un conflitto con la mia pittura, un rimettere in discussione tutti i temi e i contenuti che ho trattato in 20 anni di carriera sulla stessa superficie pittorica. Non c’è una vera e propria narrazione al suo interno, ogni figura funziona come segno e la relazione tra i pieni e i vuoti è l’ossatura del quadro. E’ una architettura di segni il cui valore è astratto anziché figurativo”.
L’esposizione è visitabile online e in galleria sino al 30 luglio 2020. L’ingresso è libero solo su appuntamento.
Scuola di Palermo
Si tratta della produzione artistica, affermata nello scenario palermitano tra gli anni ’90, di quattro artisti. Alessandro Bazan, classe 1966, Francesco De Grandi (1968), Fulvio Di Piazza (1969) e Andrea Di Marco, nato nel 1970 e scomparso prematuramente nel 2012.
La sua enorme importanza è dovuta all’aver riportato la pittura come linguaggio d’elezione in una intera generazione di artisti, in un periodo in cui i nuovi media sembravano gli unici possibili portatori di un messaggio artistico.