“L’annuncio delle prime bambole dotate di Intelligenza Artificiale, attese per il Natale 2025, apre una nuova fase nel rapporto tra infanzia e tecnologia. Secondo le stime, il mercato dei giocattoli intelligenti passerà da 42 a 224 miliardi di dollari entro il 2034. Un dato impressionante, che tuttavia ci impone una riflessione educativa profonda. Oggi, per la prima volta, anche il gioco simbolico – che da sempre stimola la creatività, l’immaginazione e la capacità narrativa dei bambini – rischia di essere delegato alla macchina.”
Francesco Pira, professore associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Messina, esprime le sue preoccupazioni dopo la notizia battuta nelle ultime ore dalle agenzie di stampa.
“Personalmente, mi colpisce molto il fatto che oggi un bambino possa chiedere a una bambola di fare i compiti al posto suo o di dargli consigli, come se si trattasse di un assistente o, peggio, di un sostituto adulto. Quando eravamo piccoli, facevo parlare i soldatini, mentre altri utilizzavano altri giocattoli, inventando storie, voci, dialoghi: un gioco che esercitava una creatività viva e autonoma. Il pericolo, oggi, è che affidare tutto all’IA – dal gioco alla conversazione – diventi una forma di manipolazione sottile, che riduce la capacità dei bambini di immaginare, sbagliare, relazionarsi”, aggiunge.
Il sociologo in questi giorni sta presentando in diverse rassegne letterarie il suo ultimo saggio La Buona Educomunicazione (FrancoAngeli, 2024).
“Nel mio ultimo libro – prosegue il professor – che contiene anche un’indagine qualitativa condotta in dieci regioni italiane, ho evidenziato come la tecnologia stia intervenendo profondamente su tre segmenti fondamentali per la crescita: il gioco, l’apprendimento e le relazioni. Bambole intelligenti, compagni digitali, app educative: tutto questo trasforma l’infanzia in un ecosistema in cui la presenza dell’umano rischia di diventare secondaria. Il problema non è solo infantile. Oggi molti adolescenti utilizzano l’IA anche per coltivare relazioni sentimentali online o come sostegno psicologico virtuale, affidando alla tecnologia i propri bisogni affettivi e identitari”.
“In un mondo onlife, dove digitale e reale si intrecciano, il compito di educare richiede nuovi strumenti culturali. Non bastano più i modelli tradizionali: serve un approccio che metta in dialogo educazione e comunicazione, promuovendo pensiero critico, responsabilità e relazioni autentiche. È questa la sfida dell’educomunicazione: non solo “insegnare i media”, ma accompagnare i più giovani a vivere consapevolmente in questa realtà digitale complessa – conclude -. Spetta a noi decidere quale tipo di futuro vogliamo costruire per le nuove generazioni”.