I Carabinieri del comando provinciale di Agrigento hanno eseguito sette ordinanze di custodia cautelare in carcere, emesse nei confronti di presunti vertici e affiliati della famiglia mafiosa di Menfi.
Il blitz, ordinato nella notte dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo con il nome in codice operazione ”Opuntia“, è stato eseguito da 100 militari, con l’ausilio di unità cinofile e di metal detector per la ricerca di armi.
Gli arrestati sono tutti ritenuti responsabili di appartenere a ”cosa nostra agrigentina” e di avere controllato, nella valle del Belìce, attività economiche e appalti pubblici in collegamento con capi mandamento e capi famiglia di Sciacca e dintorni.
I provvedimenti restrittivi scaturiscono da una complessa indagine condotta dal 2014 dai carabinieri di Sciacca sotto il coordinamento della Dda di Palermo.
I carabinieri, attraverso pedinamenti ed intercettazioni, sono riusciti a documentare come gli indagati avessero riorganizzato la famiglia mafiosa di Menfi, dopo essere entrati in contatto con elementi del calibro di Leo Sutera, già capo del mandamento di Sambuca di Sicilia e con il benestare di Pietro Campo, capo della famiglia mafiosa di Santa Margherita di Belìce e di Montevago. Questi ultimi, indagati in altri procedimenti, non sono colpiti dal provvedimento cautelare di oggi.
La riorganizzazione della famiglia di Menfi – dicono gli investigatori – ”si era resa necessaria a seguito di un’altra imponente operazione dei carabinieri, condotta nel 2008 sotto il nome in codice scacco matto, che aveva portato alla totale disarticolazione di Cosa Nostra in tutta la valle del Belìce”.
L’indagine ha permesso di fare luce sugli attuali assetti organizzativi e gestionali in seno all’organizzazione, delineando compiutamente i ruoli direttivi assolti dai capi famiglia di Menfi e Sciacca e la piena disponibilità nei loro confronti da parte dei rimanenti affiliati.
Ottenuta l’investitura, la ”rinata famiglia di Menfi” ha ripreso il controllo del territorio, iniziando dal business dell’imposizione dei video poker e delle slot machines negli esercizi commerciali della località rivierasca. Emblematica è la conversazione in cui gli indagati affermano: “Ci dobbiamo mettere con le macchinette e ce li prendiamo noialtri i soldi!”.
Gli incontri, documentati dai Carabinieri, avvenivano nei luoghi più disparati. Molto spesso all’interno o nei pressi dell’ambulatorio medico menfitano messo a disposizione da una delle figure centrali dell’inchiesta, il medico di base Pellegrino Scirica. Questi, oltre a veicolare le informazioni all’interno dell’organizzazione, sarebbe intervenuto nella gestione degli affari dell’associazione, incontrando persino, in una circostanza, Leo Sutera.
Tra gli elementi apicali coinvolti nell’indagine, risulta anche Domenico Friscia, personaggio di spicco della famiglia di Sciacca, già noto nell’ambito di altri procedimenti penali, che si sarebbe anche attivato per procurarsi armi da fuoco da tenere nella disponibilità dell’organizzazione.
Tutti i destinatari della misura, il 6 luglio 2016, furono già arrestati dai Carabinieri di Sciacca, per le stesse ipotesi di reato in esecuzione di un fermo di indiziato di delitto emesso dalla Dda di Palermo.