“Borsellino, almeno in mia presenza e a riunioni a cui partecipai io, non disse mai che sull’inchiesta mafia-appalti si sarebbe potuto fare di più. Cioè non si è mai lamentato che l’indagine non fosse stata valorizzata come meritava”.
Lo ha detto Giuseppe Pignatone, ex procuratore di Roma, per anni in Procura a Palermo, deponendo al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio in corso davanti al tribunale di Caltanissetta. Imputati, con l’accusa di calunnia aggravata, i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Pignatone è stato citato per riferire dell’inchiesta mafia-appalti secondo alcuni vero movente dell’attentato a Borsellino. Borsellino che, a marzo 1992 fu nominato procuratore aggiunto a Palermo, avrebbe potuto approfondire l’indagine sulle commistioni mafia, politica e imprenditoria e proprio per questo, secondo alcuni, sarebbe stato ucciso.
“Nessuno si è mai permesso di dirmi cosa fare dall’esterno o ha fatto pressioni – ha detto Pignatone – In caso contrario lo avrei denunciato. All’interno dell’ufficio l’allora procuratore Giammanco ci disse di lavorare e valorizzare gli elementi che andavano valorizzati, d’altro canto non si arrestano persone senza prove”, ha aggiunto Pignatone smentendo qualunque sottovalutazione dell’inchiesta mafia-appalti.
“A metà luglio facemmo un’assemblea dell’ufficio – ha spiegato il teste – In quel periodo dalla stampa arrivavano attacchi alla Procura e accuse di avere insabbiato l’inchiesta. Giammanco convocò i colleghi proprio per una operazione trasparenza e per spiegare come erano andate le cose”. “In quell’occasione Borsellino, con cui già avevamo parlato di una tranche dell’indagine, ci chiese se si trattava degli accertamenti che comprendevano un appalto di Pantelleria e gli dicemmo di sì. A quel punto rispose solo di parlarne con Ingroia”.