Abbiamo già scritto sul passaggio di Carlo V a Trapani nell’agosto del 1535 al rientro dall’impresa di Tunisi.
Abbiamo illustrato come quell’episodio si inquadri in un più ampio e interessante contesto di rapporti tra la nostra Città e la politica mediterranea dell’Imperatore, abbiamo evidenziato alcuni risvolti poco noti del ruolo svolto da Trapani a sostegno anche dell’intento umanitario di quella missione e del suo obbiettivo di salvare migliaia di cristiani schiavi dei pirati barbareschi, abbiamo scoperto i segni della gratitudine mostrata da Carlo ai Trapanesi.
Stiamo svolgendo alcuni approfondimenti documentali per definire, senza enfatizzazioni, ma anche senza dimenticanze, l’importanza storica di quel soggiorno, le tracce che ancor oggi ne possediamo e quelle scomparse che però furono reali e durature per alcuni lassi di tempo.
Oggi parliamo del rovescio della medaglia riguardo a quel passaggio, o forse solamente di una parte di quel rovescio.
Lo facciamo in virtù della lettura di un documento di supplica inviato dai Giurati Trapanesi, nell’evidente interesse di tutta la collettività, all’Imperatore subito dopo la sua partenza ed in vista del Parlamento Generale del Regno di Sicilia, che sarebbe stato celebrato a Palermo alla presenza dell’Imperatore tra il 16 ed il 22 settembre.
Il documento, scritto in un “simpatico” italiano, lingua che lo stesso Imperatore aveva scelto per gli incontri ufficiali in Sicilia, venne riscontrato punto per punto in spagnolo e definito in Palermo il giorno “VI de ottobre Viiij Ind. 1535 – Urrias Secret.s”
Il primo paragrafo chiede la conferma “scritta” dei Privilegi già patrimonio della Città, per come già verbalmente giurato dal Re nella Chiesa di S.Agostino (vedi i nostri precedenti articoli)
Il riscontro è positivo e lapidario: “Plaze a Su’ M.à como stan en possession”
Nel secondo paragrafo cominciano le dolenti note.
Si piange povertà per le enorme spese direttamente sostenute per “receptare la Regia Armata di Vostra Cesarea Catolica Maestà” e per il concorso prestato dagli stessi Trapanesi “ne l’arte Maritima con loro vaxelli” per “essere questa Città posta a lo infronto da questo Regno maxime di li Barbarici parte de Infideli da cui è stata continuamente vexata…” e per questo si chiede che ai Trapanesi venga confermata la franchezza da ogni diritto di dogana in mare e in terra per tutto il Regno di Sicilia “quemadmodum nunc gaudet Civitas Messana”- (nella stessa forma di cui gode Messina)
Questo il riscontro “Que gozan de la franqueza que tienen y que en lo da mas sus M.à hoy mandara favorezer en todos sus Reijnos como a su Buenos Vassallos”. Carlo V quindi accoglie la richiesta e va addirittura “ultra petita” estendendo il privilegio per i marittimi trapanesi a tutti i suoi regni, roba non da poco se si considera che sui dominii imperiali non tramontava mai il sole.
Nel terzo paragrafo i toni si fanno sempre più drammatici.
Nonostante per antichi privilegi i Trapanesi siano stati dai predecessori di Carlo esentati da farsi carico del “l’acquartieramento” di soldati, lo sbarco delle truppe di ritorno da Tunisi ha visto arrivare in città plotoni di Alemanni dell’esercito di Carlo V (più o meno quelli del sacco di Roma) che senza alcuna remora hanno espulso “li citatini da l’abbitazione ad altri levandole la robba, ad altri facendose dare lo vitto amminazandole privarle de la vita od honore…”. Ed altri soprusi anche in singole aggressioni talchè “una gran parte di Citatini fugaro de la Città in li convicini…”
E non manca, a rafforzare le fosche tinte del quadro, uno specifico episodio di “cronaca nera”. Gli Alemanni dell’esercito di Carlo V hanno rapito con banale scusa due cittadini “innocenti” e, portatili su una loro nave, per rilasciarli hanno chiesto un riscatto di cento ducati ciascuno. Fatto esecrabile e cifra non da poco per un rapimento di poche ore di anonimi cittadini, se si considera che 15 Ducati erano uno stipendio annuo medio di quei tempi.
La supplica chiede che il Re garantisca che per il futuro – evidentemente l’orda alemanna ha, per fortuna, già lasciato la città – venga osservato il privilegio dell’esenzione dal dover ospitare soldati “altramente questa Città se verrà a disabitare et de lo intutto destruere”.
Se tutto ciò risponde interamente al vero, devono essere stati certamente giorni non facili per i Trapanesi, che siano stati quattro come sostiene il Fazello, o piuttosto, e peggio nella circostanza, dieci o anche dodici, come abbiamo noi dimostrato.
— risponde il Re: “Que Sus Ma.à mandarà guardar (procurerà che si osservino) sus Privilegioj y exemptiones como fuera de razon y provederà che sean favorezadas y bien tratados”
Nel quarto paragrafo arriviamo al solito punto: basta tasse! I Trapanesi sono talmente impoveriti che, pur volendolo, non potrebbero pagare uno scudo in più, pena la loro stessa sopravvivenza…!
— risponde il Re con una generica promessa: “Que su Ma.d terrà memoria della Ciudad y la favorezerà en toto lo que se les offrezieres”
Nel quinto ed ultimo paragrafo la supplica riguarda i tempi e la fiducia nei Trapanesi, quali sudditi fedeli.
Che il Re esamini la supplica mentre ancora si trova a Palermo e che faccia come fece “nostro Signore Dio Incarnato a la petitione del Centurione”; cioè il Re conceda le grazie richieste “in tutto”, premiando la lealtà e la fiducia dei suoi “Fideli Servi, et Vassalli”
— il Re risponde come richiesto da Palermo, e per quanto “se suplico en Trapana” … “quando se viera se responderà”. Formula che può apparire contraddittoria o dilatoria rispetto precedenti assicurazioni, ma che in realtà non le smentisce ed introduce una ulteriore volontà di attenzione in future occasioni.
Ed infatti nel carteggio successivo agli atti del Senato Trapanese e nei fatti successivi legati agli interventi dei Viceré si ricava come la Città di Trapani sia rimasta oggetto di quella annunciata benevola attenzione.