“È appena arrivato il decreto che aspettavamo. Hanno dissequestrato tutto! Le aziende di noi figli sono state dissequestrate. Adesso aspettiamo la decisione sulla revoca delle aziende dei padri“. L’annuncio lo dà su facebook Pietro Cavallotti, uno degli eredi della famiglia di imprenditori originaria di Belmonte Mezzagno i cui beni furono confiscati nonostante l’assoluzione dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e la prescrizione del reato di turbativa d’asta dei tre fratelli Vincenzo, Salvatore Vito e Gaetano Cavallotti.
I provvedimenti di sequestro furono decisi, su richiesta della Procura, dalla sezione misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo, in particolare dal collegio presieduto da Silvana Saguto. Il patrimonio dei beni sequestrati – tra questi molte aziende del gruppo – ammontava a circa venti milioni di euro.
I capostipiti della generazione di imprenditori furono arrestati nel 1998, nell’operazione Grande oriente. Dopo diverse vicissitudini processuali, i tre furono assolti a fine 2010. I loro nomi erano stati trovati in alcuni pizzini passati per le mani di Bernardo Provenzano. Il giudice di primo grado diede credito alla versione dei legali dei Cavallotti, che sostenevano che i loro clienti erano stati vittime del racket. Nell’assoluzione successiva, dopo il rinvio della Cassazione, il giudice sostenne che non era possibile accertare responsabilità degli imputati in quanto citati nei pizzini soltanto genericamente.