Non ho partecipato attivamente a questa tornata politica, tranne qualche spunto “regalato” a destra e manca, e per la prima volta guardo da esterno l’agone politico di queste elezioni. La cosa mi permettere di fare una analisi a 360 gradi. Sgombriamo il campo: la pubblicità politica oggi fa ricorso ai professionisti della comunicazione pubblicitaria. Ma non sempre i politici ti permettono fare il tuo lavoro, credendosi il sale della terra e scontrandosi con noi pubblicitari, che invece ci crediamo il sale del mare. Ma la verità è che la pubblicità non serve a nulla! Ora mi spiego.
Dicono i sacri testi che la pubblicità politica è un insieme integrato e pianificato di forme di comunicazione e promozione messe in atto per esercitare sui destinatari un’influenza mirata (persuasione e manipolazione), spesso accompagnato dalla retorica.
La pubblicità politica è oggi per più aspetti, assimilabile alla pubblicità commerciale. Il candidato è diventato un prodotto da piazzare e che va posizionato con regole basilari della comunicazione: costruzione identità e reputazione, valorizzazione delle competenze, e budget da investire. Ad un noto imprenditore a cui ho dato successo dissi: “io posso portarti gente per la prima volta e forse una seconda; alla terza, se il tuo prodotto non funziona io comunque il mio lavoro di comunicazione l’ho compiuto!”. In quel caso andò bene, è andata bene anche nelle tornate politiche scorse; sia chiaro che ho anche avuto delusioni, ma ripeto che a volte la colpa è del prodotto che non funziona.
Premesso che a parer mio una campagna pubblicitaria politica difficilmente sposta un’intenzione di voto, perché il più delle volte è rivolta a un target che è già tuo cliente e (con dolore) continuerà ad esserlo, scendiamo nel dettaglio di questa tornata elettorale.
La sinistra (spaccata) ha perso una grande occasione, quella di provare a riprendersi dalle delusioni della mancata promessa crocettiana: la sfida è stata talmente gentile da risultare un po’ debole. La parola “sfida” (su cui credo molto) era interessante ma, a mio parere, andava declinata in altro modo, e lo conferma il fatto che adesso i loro toni (specie sui social) si stanno accendendo e, purtroppo, la pennellata multicolor, che riecheggia un noto multivitaminico, non sembra aver dato energia al candidato. Bisognava essere più decisi prima, monetizzando così al meglio la vittoria orlandiana, almeno dal punto di vista della comunicazione.
Sempre a sinistra, facciamo Cento Passi con Fava: buona l’idea del nome, ma ad essa corrispondono cento slogan accanto a un’immagine confusionaria e troppo piena di elementi (troppo piombo, diremmo noi giovani vecchi della comunicazione), quando la sintesi paga sempre.
Sintesi che invece ha ben usato Musumeci, non con la prima campagna (odio le teaser, servono a far guadagnare solo i concessionari e a disperdere le forze economiche, insieme all’attenzione del pubblico), ma con la seconda, fermo restando che la foto andava un po’ ottimizzata. “Musumeci Presidente: perché dire altro?” Secco, conciso, diretto. Caduta di stile però la firma dell’agenzia dei manifesti, cosa che mi ricorda un vecchio addetto ai lavori palermitano che firmava anche i biglietti da visita e le carte intestate dei suoi clienti. Ora fa altro.
Chi ha lavorato bene? A mio parere i 5 stelle, e non per i social. I social non spostano voti, vanno bene per mantenere la reputazione (Facebook ti fa vedere quello che tu hai voglia di vedere), quanto per l’applicazione della migliore strategia contro il proprio vero competitor, il centrodestra: la campagna con le maschere di Musumeci è veramente ben riuscita.
Ma la vera rivoluzione a costo zero l’ha compiuta Vittorio Sgarbi: lui che vede Musumeci come un novello Cavour, ha ritirato la propria candidatura, si è definito come il “vero ponte sull’Italia” e ha comunicato l’endorsement al candidato del centro destra guadagnandosi così probabilmente un posto di rilievo in caso di vittoria. Il tutto sul web: budget minimo, massima monetizzazione. Bravo Sgarbi, entrato cardinale, uscito papa.
Abbiamo parlato solo della presidenza regionale, un accenno ad altri candidati: Gianfranco Miccichè (candidato alla presidenza dell’ARS) sembra aver seguito una mia passata indicazione: “non hai bisogno della foto, il tuo nome è già un logo”; Gaetano Armao, con la sua lista “Siciliani Indignati”, è riuscito ad uscire con stile da una difficile situazione. Considerazioni politiche a parte, l’immagine del partito avrebbe bisogno di un restyling, puntando a comunicare bene i contenuti del nome stesso, che veicolati bene potrebbero diventare la vera novità del futuro prossimo; Marianna Caronia, con una comunicazione “evergreen” in cui giocano sempre gli stessi elementi. Il messaggio che passa? “Credo davvero in ciò che dico e ci metto sempre la faccia”. Noi stiamo invecchiando ma lei rimane sembra la stessa. Dorian Gray?
Lagalla è rimasto a galla … ha massimizzato meglio che poteva il suo non essere nè di centro nè di sinistra,
Infine il “Colorato” Luigi Carollo, per molti Luigi Wharollo: il coraggio delle sue scelte, della sua storia di una sinistra comune lo sta manifestando nei mille colori della sua campagna.
I giochi sono questi e ormai sono fatti: rimangono solo 2 settimane per verificare quale strategia sia risultata vincente … . Sempre che abbia avuto il suo peso, nel nome del “purché se ne parli”!