La Sicilia guida la classifica nazionale per crescita dei consumi familiari: +17,2% tra il 2019 e il 2023, secondo i dati del Centro Studi Guglielmo Tagliacarne–Unioncamere. Enna, Caltanissetta, Catania e Agrigento si collocano tra le prime dieci province italiane per incremento di spesa.
Tuttavia, il divario con il Nord resta ampio: la spesa pro-capite siciliana si ferma a 16.244 euro, contro i 26.186 del Trentino-Alto Adige e i 24.284 della Lombardia.
L’isola registra anche una delle più alte incidenze di spesa alimentare, seconda solo alla Campania. Quasi un quarto del budget familiare è destinato a beni primari, un segnale di vulnerabilità economica. Il quadro nazionale vede il Sud in rimonta nei tassi di crescita, ma ancora distante nei valori assoluti.
Abbiamo analizzato i dati siciliani e nazionali e in questo scenario, la Sicilia emerge come per alcuni aspetti capace di crescere ma in altri ancora è in cerca di equilibrio e di fragilità strutturali.
La Sicilia e il confronto con le altre regioni
Il 2023 consegna alla Sicilia un primato nazionale: è la regione italiana con l’aumento più alto dei consumi familiari tra il 2019 e il 2023, +17,2%. Un ritmo superiore alla media nazionale (+13,7%) e più sostenuto rispetto a tutte le altre regioni, incluse quelle più dinamiche del Nord. Seguono, distanziate, Molise (+16,9%), Abruzzo (+16,7%) e Sardegna (+16,3%).

Questo scatto si riflette anche nella distribuzione provinciale. Enna guida la classifica italiana con un +21% di incremento della spesa familiare, un dato che la colloca al di sopra di province metropolitane e aree turistiche del Nord. Caltanissetta, con +19,3%, è al quarto posto nazionale a pari merito con L’Aquila; Catania segue con +19,0%, mentre Agrigento raggiunge il +18,2% ed è in nona posizione ex aequo con Pavia.
Le altre province siciliane mostrano comunque tassi di crescita significativi, pur non rientrando nella top ten nazionale: Ragusa, Trapani, Palermo e Siracusa figurano tra le dieci province italiane con il maggiore incremento dei soli consumi alimentari, segno che la dinamica di spesa ha coinvolto sia beni primari che settori più ampi.
Guardando ai valori assoluti, la Sicilia resta però lontana dai vertici. Nel 2023 il consumo medio pro-capite è stato di 16.244 euro, inferiore del 20,8% alla media italiana (20.510 euro) e distante oltre 8.000 euro dal dato del Trentino-Alto Adige (26.186 euro), prima regione per spesa pro-capite. Per confronto, la Lombardia, seconda in questa graduatoria, raggiunge 24.284 euro, mentre l’Emilia-Romagna si attesta a 23.377 euro.
Il divario emerge anche nella classifica provinciale nazionale pro-capite: dove le province siciliane occupano prevalentemente posizioni basse. Agrigento, con 14.020 euro, è al terz’ultimo posto; Foggia (Puglia) chiude la classifica a 13.697 euro, mentre Caserta (Campania) è penultima con 13.890 euro.
Un elemento che caratterizza la Sicilia è l’alta incidenza della spesa alimentare: 23,8% del totale consumi, ben sopra il 18,6% della media italiana e superiore al 17% del Nord-Ovest. Solo la Campania, con il 26,4%, mostra un’incidenza maggiore. Ciò significa che quasi un quarto della spesa familiare siciliana è destinata a beni primari, che sono meno comprimibili nei periodi di difficoltà economica e più esposti alle spinte inflazionistiche.
A livello provinciale, nel segmento alimentare emergono forti concentrazioni. Cinque province siciliane – Catania, Ragusa, Trapani, Palermo e Siracusa – sono tra le dieci italiane che hanno registrato i maggiori incrementi di spesa in questo comparto tra il 2019 e il 2023. Questo fenomeno è in parte attribuibile alla frequenza d’acquisto di questi beni e all’aumento dei prezzi, fattori che hanno gonfiato i valori nominali ma non necessariamente la quantità reale di beni acquistati.
In Sicilia, come in altre aree del Sud, ciò implica che una quota rilevante della spesa è assorbita da beni primari, lasciando meno margine per beni durevoli, servizi e investimenti domestici.
In termini di peso sul totale nazionale, il Sud concentra il 33,2% della spesa alimentare complessiva, seguito dal Nord-Ovest (28,2%), dal Centro (20,5%) e dal Nord-Est (18,1%). La Sicilia contribuisce in misura rilevante a questa quota, nonostante la popolazione sia inferiore a quella di altre macroaree.
Questi dati delineano un quadro a doppia lettura: da un lato, la Sicilia è leader nella crescita percentuale dei consumi, trainata sia dalle province interne come Enna e Caltanissetta che da aree urbane come Catania e Palermo; dall’altro, la distanza nei volumi assoluti rispetto al Nord rimane ampia, e l’elevata incidenza della spesa alimentare ne limita la diversificazione dei consumi.
Il primato regionale, quindi, è un segnale positivo che va interpretato con cautela: senza un aumento del reddito disponibile e una riduzione della dipendenza dai beni primari, la crescita rischia di essere più apparente che sostanziale.
Il quadro nazionale
L’analisi del Centro Studi Guglielmo Tagliacarne–Unioncamere fotografa un’Italia dei consumi divisa in due, ma in continua evoluzione. Nel 2023, Milano è la provincia con la spesa pro-capite più alta: 30.993 euro. Seguono Bolzano (29.146 euro) e Monza e della Brianza (26.714 euro). All’estremo opposto, Foggia chiude la classifica con 13.697 euro, meno della metà del dato milanese.
Roma, pur non primeggiando nel totale pro-capite, è al vertice per spesa alimentare: 7,8% del totale nazionale di settore, seguita da Milano (6,0%) e Napoli (5,2%).
La geografia dei consumi totali vede nel Nord-Ovest la quota più alta (quasi un terzo del totale italiano), trainata dalla Lombardia, che da sola concentra il 20% della spesa complessiva. Seguono Lazio (10,2%), Veneto (8,9%), Emilia-Romagna (8,6%) e Piemonte (7,6%). Queste cinque regioni superano insieme la metà dei consumi nazionali.
Guardando ai valori pro-capite regionali, il Trentino-Alto Adige è in testa con 26.186 euro, quasi l’8% in più della Lombardia. Le ultime posizioni sono occupate da regioni meridionali: Campania (15.467 euro) e Calabria (15.436 euro). La Sicilia, pur con performance di crescita rilevanti, si colloca anch’essa nella parte bassa per livelli assoluti.
L’incremento medio nazionale tra 2019 e 2023 è stato del 13,7%. Il Mezzogiorno ha superato questa media con +15,7%, mentre il Nord-Ovest si è fermato al +14,4%, il Nord-Est al +12,7% e il Centro all’11,3%. La Sicilia ha fatto ancora meglio, con +17,2%, seguita da Molise, Abruzzo e Sardegna.
Nel comparto alimentare, la media italiana è di un’incidenza del 18,6% sui consumi totali. Il Sud la supera con il 23,4%, seguito dal Centro (18,4%), Nord-Ovest (17%) e Nord-Est (15,3%). Campania, Sicilia, Basilicata e Puglia sono le regioni con incidenze più alte, mentre Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta presentano quelle più basse.
A livello provinciale, le prime dieci per incremento di spesa totale tra 2019 e 2023 includono, come avevamo prima accennato, quattro siciliane. Per l’aumento dei consumi alimentari, sette su dieci sono meridionali, di cui cinque siciliane. Questo conferma che, pur in un quadro di divari strutturali, le dinamiche di crescita più intense si registrano a Sud.
Quali prospettive per la Sicilia?
La fotografia che emerge dal report Tagliacarne–Unioncamere è duplice per la Sicilia: da un lato, un primato nazionale nella crescita dei consumi (+17,2% in quattro anni) che testimonia una capacità di spesa in ripresa; dall’altro, valori assoluti ancora bassi, con una spesa pro-capite inferiore di oltre 4.000 euro alla media italiana.

Secondo Gaetano Fausto Esposito, direttore generale del Centro Studi Tagliacarne, questa configurazione è un “indicatore di doppia vulnerabilità” per il Mezzogiorno: “il reddito disponibile delle famiglie è inferiore di circa il 25% rispetto a quello della media nazionale e il peso dei consumi alimentari appare più consistente”.
Che ha aggiunto “in ben 26 province meridionali su 38 l’incidenza dei consumi alimentari supera il 21% di quelli totali, mentre questa situazione non si verifica in nessuna delle province del resto dell’Italia. La maggiore presenza della componente di consumi di beni alimentari – che sono stati più penalizzati dalle spinte inflazionistiche e che si caratterizzano anche per una maggiore frequenza di acquisto – da un lato ha gonfiato i consumi in termini nominali e dall’altro ha eroso maggiormente il potere d’acquisto reale complessivo delle famiglie meridionali”
“Si tratta di un fenomeno che comunque – sebbene in misura inferiore – ha riguardato anche 16 province dell’Italia centro-settentrionale, caratterizzate per una incidenza di questi consumi tra il 18,5% e il 21%, a dimostrazione che i divari territoriali si articolano nel Paese anche secondo una logica più complessa della dicotomia Nord-Sud”, conclude Esposito.
Le prospettive per i prossimi anni dipenderanno dalla capacità di tradurre questa crescita nominale in un reale aumento del potere d’acquisto. Ciò richiede politiche che puntino ad accrescere il reddito disponibile, sostenere l’occupazione stabile e favorire investimenti che ampliano l’offerta di beni e servizi ad alto valore aggiunto.
Per la Sicilia diventa fondamentale non è solo mantenere il ritmo di crescita, ma ridurre il divario strutturale con il Nord. I dati mostrano che la dinamica è possibile: la questione è renderla sostenibile e inclusiva, evitando che sia trainata esclusivamente dai beni primari o da fattori contingenti come l’inflazione. E costruire un futuro in cui il primato della crescita non sia accompagnato dalla fragilità strutturale.