Dietro alla paranoia si nasconde una forte dipendenza
L’incredibile della psiche umana è che può arrivare a rinforzare il legame proprio con le persone che meno offrono fiducia (si pensi alla «sindrome di Stoccolma»). Anche se si dimostra loro o si prova a renderli consapevoli dell’inaffidabilità delle persone a cui sono legati profondamente, tendono a difenderle a spada tratta. Paradossalmente, proprio della persona che li ama di più e che agisce nel loro bene, non solo non si fidano, ma vedono in essa complotti e atti riprovevoli e meschini di cui non è minimamente capace. Queste persone sono viste come “deboli” dal paranoide, per via dei loro sentimenti e della loro devozione, e sono, spesso, vittima delle loro ideazioni paranoidee oltre che dell’identificazione proiettiva. Questi ultimi sono meccanismi di difesa che li spingono a danneggiare, possedere e controllare l’altro anzi che amarlo.
Se le diverse affezioni psiconevrotiche hanno la loro origine nell’infanzia e se una scelta oggettuale sessuale si compie già nelle fasi evolutive dell’organizzazione sessuale dell’età immatura (Freud, 1913, 1915), allora c’è da chiederci come mai il bambino paranoide, di una famiglia di paranoici, sceglie l’autoerotismo per raggiungere il piacere e scopre di non provarlo nel rapporto di coppia. Probabilmente, come da letteratura, negando la propria omosessualità si rifugia nella masturbazione.
Vi racconto il caso clinico di una coppia paranoidea, da me venuta per chiedermi aiuto e per risolvere quelli dal marito definiti come “problemi di comunicazione”. Questo è quello che fanno i paranoici: non chiedono “Cosa ho?”, ma arrivano con una chiara e precisa autodiagnosi, difficile da contraddire. Più che altro, si può provare a completarla o addurre qualcosa di nuovo. Lui docente, lei insegnante. Osservavo le differenze più che le similitudini: le notti insonni di lei (terrorizzata), la sua paura di sbagliare, la dolcezza e il garbo nei modi, in contrasto con l’aggressività di lui, saccente, petulante, ostico all’esasperazione. Era lì per dimostrare la propria innocenza e per confermarle che lei era il suo fardello ed era venuto per distruggere e annientare me, per dimostrare la colpevolezza degli psicologi, che non valgono a nulla (transfert=sua madre). Fortemente co-dipendenti, mi colpiva come lui parlasse male massicciamente della moglie, tutto nero, nessun affetto (la vera opinione sui genitori), mentre lei parlava solo bene del marito e sembrava incantata oltre che col prosciutto negli occhi (idealizzazione genitoriale che nasconde grandi ferite).
Allarmanti gli episodi inconsapevoli di sonnambulismo di lui. I paranoici tendono alle ideazioni paranoidee, alla negazione, al diniego oltre all’identificazione proiettiva, già citata. Durante la notte, quando tutto era buono, nel periodo del fidanzamento, lei si svegliava e lo trovava seduto sul letto e riverso verso di lei a carezzarla, dicendo: “Il mio amore, la mia bellissima cucciola”. Negli anni lei ha incassato diverse frustrazioni e quando ha deciso di affrontare il discorso, tentando di trovare il migliore compromesso possibile per diminuire il proprio disagio, subito tutto è degenerato e lui ha iniziato una drastica involuzione. I paranoici non conoscono vie di mezzo. Dall’idealizzazione passano repentinamente alla svalutazione. Quella povera donna era vittima di costanti mancanze/assenze di amore, di intimità, di fiducia. Così quegli episodi notturni piacevoli e gateaux si sono trasformati in qualcosa di pericoloso e spaventoso: la notte si ritrovava, spesso, il marito prono su di lei, col cuscino fra le mani, intento a premerlo sul suo viso (prontamente scostato da lei) oppure lo trovava con i pugni chiusi a imitare il movimento del colpire la testa più volte. Le parole, ormai, erano piene di odio. Tutto questo in stato di trance inconsapevole. Oltre alle ideazioni paranoidee che non sono semplici invenzioni, ma vere e proprie convinzioni, quindi, mi sono trovata di fronte a un caso non solo complesso, ma inquietante.
Il paranoide può diventare un temibile assassino e non ricordare nulla dopo.
Ma lei possiamo considerarla martire e/o carnefice? Dopo lo studio attento del caso, posso asserire con certezza che la signora è entrambe le cose: martire di lui, carnefice di se stessa. La sua dipendenza e l’attaccamento al marito è tale da sopportare maltrattamenti inauditi, giustificandoli costantemente (come ha fatto con gli abusi subiti in età infantile). Questa donna deve elaborare delle paure inconsapevoli importanti che riguardano le ferite e le cicatrici accumulate nel tempo. Il meccanismo di tutte queste strategie è sempre quello della negazione di ciò che è proprio e della proiezione dell’affetto negato sulle altre persone (Luca Balugani). Entrambi, in modo diverso, negano i traumi legati alle figure genitoriali. Lui nega che i “mostri” siano i genitori e si è convinto che orrenda sia l’unica che lo abbia amato veramente, anche perché non ritiene di meritare l’amore di lei, visto che i suoi familiari lo hanno deprivato di un amore rassicurante e incondizionato. Questo vale anche per lei, con un gap ossessivo: il mostro sono io=c’è qualcosa che non va in me=non faccio mai abbastanza=non valgo niente e mi merito che lui sia cattivo e anaffettivo.
Le mie analisi e scoperte in merito vanno ben oltre. Ricordo che quanto scrivo è frutto di anni di studio e pratica clinica.