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Non bisogna riempire il vuoto della depressione, ma aprire la mente e fare respirare la personalità

mercoledì 30 Agosto 2017

Il vuoto che lamentano i depressi è più che altro “assenza” di relazioni, di contenuti, di sensi.

Occorre dire, innanzitutto, che tutti i disturbi di personalità hanno una particolare eziopatologia: un back ground in cui si è acquisito il linguaggio “depressese”, se non “deprimente/opprimente”, e in cui si sono ricevute (e, forse, si ricevono ancora) delle ferite e degli attacchi talmente aggressivi da mortificare; un bagaglio genetico costituito da atteggiamenti, traumi, attitudini, etc.; fatti particolarmente conturbanti che vengono rivissuti nel corso degli anni, portando a una rottura dell’Io (della macchina); relazioni disturbate, insoddisfacenti o inesistenti (sensazione di non appartenenza o deficit di integrazione/interazione); rapporto insano con se stessi, con il proprio corpo e con il cibo (o altri surrogati, tipo alcool); inoccupazione o disoccupazione, da cui l’individuo non riesce a uscire per carenze cognitive (incapacità di regolazione, attenzione, apprendimento, inflessibilità, limitazioni e rigidità) laddove non si tratti di scarsità ambientali; un eccesso di emotività; comorbilità con altri disturbi (borderline, paranoide, narcisista, ossessivo), uno specifico livello di funzionamento (da nevrotico a psicotico) e dei pattern difensivi (da moderatamente a gravemente disfunzionali) che rendono l’individuo incapsulato in unaparticolare esperienza di sofferenza;compromissione della regolazione dell’autostima: ambiente di riferimento e di vita non idoneo (sarebbe meglio trasferirsi); compromissione dell’esame di realtà, etc..

Per aiutare un individuo affetto da sindrome depressiva, si parte dalla definizione del problema (chi, che cosa, dove, perché, quando, quanto, quale?), dopo di che si cercano le soluzioni sia a livello di intervento clinico sia a livello di lifecoaching e strategic planning, valutando le risorse possedute, quelle necessarie e come fare a motivare il paziente impigrito nel suo narché(torpore). Si pone attenzione al rapporto che il paziente crea con lo psicologo, perché in questo rapporto vengono trasferite le distorsioni percettive, i copioni comportamentali, i bisogni, i traumi, le modalità tipiche di rapportarsi con gli altri che hanno a che fare con le figure significative dell’infanzia; si analizzano e disvelano gli errori percettivi che il paziente fa (riguardo se stesso, gli altri e il mondo, in generale) e che sono dovuti al tentativo di proteggersi da idee e consapevolezze dolorose. Il concetto di malattia mentale e organica è, quasi, desueto.

Si parla, ormai, di mali evolutivi e di reazioni difensive. Da cosa si protegge il depresso? Dal senso di inadeguatezza, dalla percezione che ha di essere una nullità, per cui preferisce crogiolarsi dietro alla malattia che lo giustifica e che impedisce a questi pensieri di affiorare. Si può trattare anche, più che di inanità, di “impotenza” collegata alla perdita di una persona cara e alla sensazione conseguente di “disperazione”. La depressione scoppia come una bomba, devastando tutto, ma prima di scoppiare sono certamente scattati una serie di campanelli di allarme che non si sono ascoltati con il dovuto riguardo, che si sono presi con leggerezza.

Così, di fronte a una perdita o a quello che si ritiene un fallimento, si getta la spugna e non si trovano più ragioni per andare avanti. Questo il frutto marcio della cultura del senso di colpa e della paura, fomentando la convinzione di “non fare mai abbastanza, di sbagliare sempre e di ritrovarsi ogni volta al punto di partenza”, senza, al contrario, vedere bene: “per chi non si fa a sufficienza, come mai si fanno le cose male o tanto per farle, perché si continua a errare, a chi si appartiene? Quali sono i punti di riferimento?Quanta rabbia si reprime e si ritorce contro se stessi?”.Ci si circonda di persone tossiche. Si comunica con un linguaggio venefico.

Ecco quanto è oneroso il lavoro di un esperto che oltre a sradicare concetti e convinzioni sbagliate, deve anche impiantare pensieri e parole feraci (attraverso tecniche come: Pnl, Wild System, Self Discorring, Gruppi Dip, Training Linguistico Comportamentale, etc.). L’individuo depresso ha una mente chiusa, per poterlo fare uscire dall’impasse bisogna aprirla come una finestra e lumeggiare,provando a fare respirare e rinascere la personalità, liberandola da aspettative, standard, invidie fino ad accettarsi, non con rassegnazione o illusione, ma con serenità e saggezza. Il bisogno fondamentale alla base dei disagi esistenziali è essere riconosciuti. Si cerca, dunque, di capire come funziona questa macchina, come farla ripartire e, poi, come tenere carica la batteria. Il paziente va rieducato globalmente con un training strutturato su misura.

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