L’emergenza Coronavirus ha messo alla strette diversi fuori sede siciliani residenti al Nord. Ragazzi e ragazze rimasti senza lavoro e costretti quindi a rivedere i propri piani, ritornando nella propria terra natale. Ma a casa non hanno trovato feste e pacchi regalo, come si è soliti in Sicilia, bensì critiche ed insulti sui social.
Oggi vi raccontiamo la storia di Giuseppe Cardillo, un ragazzo di Carini (PA) in trasferta al Nord in cerca di lavoro. Un siciliano come tanti, che si è messo in gioco e che si è ritrovato improvvisamente senza lavoro, causa covid-19. Il suo è un racconto come gli altri, simbolo di un esercito di studenti e lavoratori costretti, causa forza maggiore, a tornare alla base.
IL RACCONTO
“Io lavoravo in una struttura ricettiva a Bormio, in provincia di Sondrio. Durante il servizio, ma anche dopo, non hai molto tempo da dedicare ai TG o ai giornali. Ho appreso del Coronavirus quasi per sentito dire, attraverso i social. All’inizio la cosa è stata sottovalutata un po’ da tutti, anche dagli esperti. Quando Burioni lanciò l’allarme, non tutti avevano capito la gravità della situazione“.
“Il settore turistico è stato uno dei primi ad entrare in crisi e a mandare a casa i lavoratori – racconta Giuseppe -. Mi sono ritrovato improvvisamente senza stipendio e con la necessità di trovare un altro impiego. Se l’hotel chiude rimani non solo senza paga, ma anche senza vitto ed alloggio. Mi sono quindi spostato nei primi di marzo a Monza, da un mio parente che abita lì, in modo da potere cercare lavoro e casa a Milano. Ma poi è subentrata la chiusura di diversi settori e sono stato costretto a scendere“.
IL VIAGGIO DI RITORNO
Il ragazzo, laureato in scienze motorie, ci racconta la sua odissea per tornare a Carini.
“Il 9 marzo ho preso il treno a Monza, per recarmi a Milano centrale. Da lì ho preso il treno per dirigermi a Roma Termini. Sia nella capitale che nel comune lombardo nessuno mi ha chiesto niente. A quel punto mi sono diretto a Roma Tiburtina per prendere il pullman e scendere così a Palermo. Il mio mezzo non era pienissimo, ma altri lì vicino si. Sono arrivato alla stazione di Palermo nella mattinata del 10 marzo, mio padre è venuto a salutarmi e sono tornato a casa mia, a Carini, in treno. Il mezzo era semi-vuoto. Sceso alla fermata, mia madre si è presa solo le valige, mentre io mi sono incamminato a piedi verso la mia casa in campagna dove attualmente risiedo. Il tutto si è svolto mantenendo la distanza di sicurezza. Intanto, sia a Messina, che a Palermo ed infine a Carini, nessuno mi ha controllato. Solo a Monza la polizia ferroviaria mi ha chiesto dove andavo e perchè, ma niente di più“.
“Ovviamente abbiamo rispettato tutte le procedure previste. Ho comunicato il mio ritorno in Sicilia, ho contattato il mio medico curante e mi sono messo in isolamento volontario. Ci starò fino al 25 marzo“.
L’ODIO SUI SOCIAL E LA GESTIONE DELL’EMERGENZA
“È stata tutta una grande approssimazione. A chi critica chi è sceso, vengono loro e mi pagano un mese di affitto e di bollette in Lombardia – sottolinea acremente Giuseppe Cardillo -. È facile per chi non ha mai viaggiato e non si è messo mai in gioco dal punto di vista lavorativo. Se perdi il lavoro, come fai a stare in un paese in cui conosci poche persone, in cui hai bollette da pagare, spese, ecc.? Te ne vai in hotel? E con quali soldi? Senza contare il fatto che la gran parte delle strutture ricettive sono già chiuse. Se avessi conservato il mio posto di lavoro sarei rimasto lì, ma è impossibile rimanere a Milano senza un impiego“.
“Io posso capire che ci sia paura, panico da contagio. Ma è impensabile che la gente si metta ad insultarti sui social soltanto perché torni a casa tua, rispettando tutte le procedure sanitarie. Spero soltanto che ci sia più comprensione verso il prossimo, perché il Coronavirus lascerà molte cicatrici in tutta la popolazione. Ci dobbiamo aiutare tutti e dobbiamo rimanere uniti“, chiosa Giuseppe.