Anche l’anniversario dell’assassinio del giudice Borsellino e degli agenti di scorta sarà celebrato, come è già avvenuto il 23 maggio per Giovanni Falcone, all’insegna delle divisioni e delle polemiche.
Esse, al di là delle motivazioni e delle ragioni addotte, sono il segno preoccupante della crisi dei movimenti antimafia a prescindere dalla collocazione politica e del ceto sociale di appartenenza.
Questi anniversari, insieme al ricordo di questi eroi del nostro tempo, dovrebbero essere l’occasione per una riflessione corale, per fare il punto sulla lotta alla mafia alla luce degli eventi recenti e dei successi riportati dall’azione della magistratura e delle forze dell’ordine. È necessario, infatti, partire da questi risultati per rilanciare l’azione antimafia, non adagiarsi sui risultati ottenuti, avviare anche una riflessione su errori, limiti e perfino su alcuni aspetti degenerativi propri di una falsa antimafia.
Come vincere la mafia dovrebbe essere l’obbiettivo su cui ricostruire una unità in cui l’antimafia civile, quella sociale, quella politica e istituzionale adottino una comune strategia e un codice di comportamento che garantisca coerenza e credibilità all’azione antimafia nel campo in cui ognuno è chiamato ad operare. Un modo anche per riavvicinare quei cittadini che si sono allontanati dall’impegno perché frastornati e confusi da queste polemiche.
Solo così si potrà evitare che vi sia chi rilascia patenti di anti mafiosità, che vi sia la gara di chi è più antimafioso dell’altro e di chi si propone perfino di mettere il proprio cappello sui martiri.
Ancora una volta la lezione da recepire ci viene da Falcone e Borsellino.
Ognuno di loro aveva le proprie idee politiche, peraltro molto distanti fra loro, ma questo non solo non fu un ostacolo alla loro amicizia sul terreno personale ma non interferì mai in alcun modo nel loro impegno antimafia, nel fare trionfare la giustizia nei confronti dei soprusi’ delle prevaricazioni della mafia e nel difendere la libertà del cittadino e la democrazia del Paese.
La lotta alla mafia, quindi, come valore in sé che non appartiene a uno schieramento politico, né un’arma da utilizzare contro l’avversario politico, né l’occasione per fare carriera. La lotta alla mafia come valore in sé in cui si riconosce individualmente e collettivamente un popolo.
Lungi dal proporre una unità indifferenziata, come hegelianamente in una notte nera tutte le vacche sono nere, al contrario è necessario che si apra un grande dibattito, un confronto a aperto a tutte le forze e a chi vuole spendersi e dare un contributo per il rilancio della lotta alla mafia, senza pregiudiziali o aprioristiche esclusioni e isolando chi mantiene forme di ambiguità e non si contrappone apertamente e pubblicamente alla mafia.
L’antimafia non può non ricercare un rapporto con le istituzioni per spingerle ad un impegno più incisivo soprattutto nelle aree a più forte disagio sociale e dove la mafia intende riaffermare il suo potere e il suo controllo sociale offrendo protezione e aiuto alle famiglie pi bisognose e ampliando gli spazi di illegalità e la diffusione della droga.
Al tempo il movimento antimafia deve contrapporsi alle istituzioni quando esse fuoriescono da scelte e comportamenti contrarie alla trasparenza e dal loro ruolo di barriera verso ogni forma di compromissione e inquinamento e di arretramento sul terreno degli strumenti legislativi che si sono rivelati efficaci nel contrasto alla mafia.